La plastica che si autodegrada grazie alle spore batteriche

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(Foto: David Baillot/UC San Diego Jacobs School of Engineering)

L’inquinamento da plastica è una seria minaccia per il nostro pianeta ed è per questo che bisogna riuscire al più presto a ridurre l’impronta ecologica dell’industria della plastica. A fare oggi un importante passo in questa direzione sono stati i ricercatori dell’Università della California di San Diego che, in collaborazione con l’Università americana della Georgia, hanno sviluppato una nuova forma di bioplastica capace di auto-decomporsi. Il loro studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.

La nuova bioplastica

Per mettere a punto la nuova bioplastica, i ricercatori sono partiti dal poliuretano termoplastico (Tpu), una plastica commerciale morbida e resistente utilizzata per realizzare calzature, tappetini e cuscini. Per renderlo biodegradabile, quindi, hanno riempito il Tpu di spore batteriche di Bacillus subtilis, un ceppo utilizzato nei probiotici, considerato sicuro per l’uomo e l’ambiente e noto per la sua capacità di scomporre i materiali polimerici plastici. “È una proprietà intrinseca di questi batteri”, ha commentato Jon Pokorski, tra gli autori dello studio. “Abbiamo preso alcune varietà e valutato la loro capacità di utilizzare i Tpu come unica fonte di carbonio, quindi abbiamo scelto quella che cresceva meglio”.


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L’esperimento

Lo studio, precisiamo, si è servito delle spore batteriche, ossia la forma dormiente dei batteri, per la loro spiccata resistenza alle difficili condizioni ambientali. Infatti, differentemente dalle spore fungine, che hanno un ruolo riproduttivo, quelle batteriche sono provviste di uno scudo proteico protettivo che consente ai batteri di sopravvivere mentre sono in uno stato vegetativo. Per rendere la plastica biodegradabile, quindi, i ricercatori hanno “mescolato” le spore di Bacillus subtilis al pellet di Tpu nell’estrusore e, successivamente, fuso questi ingredienti a 135 gradi centigradi, da cui sono poi state prodotte sottili strisce di plastica “vivente”.

I test sulla biodegradabilità

Per valutare la biodegradabilità del materiale, le strisce sono state collocate nel compost, sia comune che sterile, mantenuto a 37 gradi Celsius con un’umidità relativa compresa tra il 44 e il 55%. L’acqua e altri nutrienti nel terreno hanno dato il via alla germinazione delle spore all’interno delle striscioline di plastica. E, dalle successiva analisi, i ricercatori hanno potuto osservare che quando esposte alle sostanze nutritive presenti nel terreno, queste spore sono in grado di degradare fino al 90% del materiale in 5 mesi. “Ciò che è notevole è che il nostro materiale si decompone anche senza la presenza di ulteriori microbi”, ha aggiunto Pokorski. “È probabile che la maggior parte di questa plastica non finirà negli impianti di compostaggio ricchi di batteri. Quindi questa capacità di auto-degradarsi in un ambiente privo di microbi rende la nostra tecnologia più versatile”.

Più resistenza ed elasticità

Non solo: le spore batteriche hanno conferito al materiale una maggior resistenza. Il risultato, infatti, è stata una variante di Tpu con proprietà meccaniche migliorate, ossia che richiede più forza per rompersi e mostra una maggiore elasticità. “Entrambe queste proprietà vengono notevolmente migliorate semplicemente aggiungendo le spore”, ha concluso l’esperto. “Ciò è fantastico perché l’aggiunta di spore spinge le proprietà meccaniche oltre i limiti noti dove in precedenza esisteva un compromesso tra resistenza alla trazione ed estensibilità”. Il prossimo passo, quindi, sarà quello di ottimizzare il processo per la produzione su scala industriale.

Via: Wired.it