Un modello per migliorare l’efficacia dei test genetici

    Un nuovo modello per interpretare le variazioni del Dna riscontrate nel corso di analisi genetiche, promette di migliorare in futuro l’efficacia dei test per moltissimi tipi di malattie ereditarie. Il risultato arriva da uno studio internazionale pubblicato sulle pagine di Nature Genetics, coordinato da Maurizio Genuardi, professore di Genetica dell’Università di Firenze. La ricerca, svolta nell’ambito di un progetto dell’Istituto Toscano Tumori, aveva lo scopo di migliorare l’impiego dei test genetici per identificare i pazienti affetti da sindrome di Lynch, la più frequente forma ereditaria di tumori del colon. Con opportuni adattamenti però, i ricercatori ritengono che il loro modello potrà essere trasferito anche ad altre malattie genetiche.

    “I test genetici – spiega Genuardi – vengono utilizzati per diversi scopi (conferma della diagnosi di una malattia genetica in una persona sintomatica, diagnosi prenatale, individuazione di predisposizione allo sviluppo di particolari malattie in persone sane, ad esempio tumori, malattie cardiovascolari, malattia di Alzheimer…). Una delle principali finalità è quella predittiva, cioè individuare, in famiglie in cui è presente una presunta malattia genetica, le persone sane che sono a rischio di ammalarsi, per poter intraprendere le opportune misure preventive, come accade ad esempio per le forme ereditarie di tumori al seno, all’ovaio, all’intestino, o per cardiopatie ereditarie che predispongono ad aritmie improvvise”.

    Non sempre, però, è facile distinguere tra una variante causa di malattia e una variante neutra. La sequenza del Dna è infatti molto variabile da individuo a individuo e solo alcune alterazioni hanno un effetto significativo sulla salute, mentre la maggior parte sono prive di conseguenze significative (varianti “neutre” o di scarso impatto clinico). “La frequenza di risposte di significato incerto – continua Genuardi – varia a seconda del tipo di test e della malattia che viene indagata, e può arrivare fino al 50%. Una risposta di questo tipo rende praticamente inutile il test, perché lascia margini di incertezza, e a volte anche di ansia, in chi vi si è sottoposto, non permettendo di sapere con chiarezza se le varianti genetiche identificate con l’esame siano responsabili della comparsa della malattia. Senza parlare poi del rischio che il risultato venga erroneamente interpretato da medici che non hanno familiarità con questi esami.”

    Per arrivare ad un modello interpretativo più preciso, il team di Genuardi ha utilizzato informazioni sui risultati di test genetici effettuati a scopo clinico o di ricerca, contenute in parte in database disponibili online, e in parte ottenute su richiesta da decine di altri scienziati. I dati sono stati analizzati mediante una serie di algoritmi sviluppati nel corso dello studio. E con ottimi risultati: la classificazione delle varianti di DNA ottenuta attraverso questo approccio è risultata infatti affidabile e riproducibile, a differenza di quanto avvenuto finora, quando l’interpretazione era affidata ai singoli esperti, ed era basata generalmente su una limitata quantità di informazioni, a volte scarsamente attendibili, o poco chiare.

    “Le implicazioni della nostra ricerca – conclude Genuardi – saranno sempre più rilevanti in futuro, con la maggior diffusione delle analisi genetiche globali che stanno prendendo piede grazie all’impiego delle recenti tecnologie di analisi genetica «di nuova generazione»”.

    Riferimenti: Nature Genetics; Application of a 5-tiered scheme for standardized classification of 2,360 unique mismatch repair gene variants in the InSiGHT locus-specific database; Bryony A Thompson, Amanda B Spurdle, John-Paul Plazzer, Marc S Greenblatt, Kiwamu Akagi, Fahd Al-Mulla, Bharati Bapat, Inge Bernstein, Gabriel Capellá, Johan T den Dunnen, Desiree du Sart, Aurelie Fabre, Michael P Farrell, Susan M Farrington, Ian M Frayling, Thierry Frebourg, David E Goldgar, Christopher D Heinen, Elke Holinski-Feder, Maija Kohonen-Corish, Kristina Lagerstedt Robinson,

    Suet Yi Leung, Alexandra Martins, Pal Moller, Monika Morak et al. doi:10.1038/ng.2854

    Credits immagine:Josh*m/Flickr

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