Caccia al batterio che fa più elettricità

Una “batterioteca” dove catalogare i migliori ceppi di batteri elettrogenici – in grado, cioè, di produrre energia elettrica da diversi tipi di materiale organico – per usarli poi nelle future celle Mfc (Microbial fuel cell), vere e proprie batterie biologiche, attualmente in fase di sperimentazione avanzata (vedi Galileo). Questo è solo uno degli obiettivi del gruppo di ricerca di Renato Fani, docente di ingegneria genetica dell’Università di Firenze, che sta cercando nuove strategie di recupero dei rifiuti e di produzione di energia da fonti alternative.

L’ateneo toscano, assieme al Centro per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo (Cra-Rps) di Roma, sono i primi in Italia ad aver sviluppato un progetto di ricerca in questo settore, presentato lo scorso 8 maggio al Polo scientifico e tecnologico di Firenze in occasione del simposio “Bio-elettricità microbica”. Per la prima volta nel nostro paese si è utilizzato un approccio multidisciplinare e altamente tecnologico per esplorare tutti gli aspetti legati alla produzione di energia elettrica con Mfc (la caratterizzazione delle biomasse, la messa a punto dei sistemi a celle e dei materiali che accumulano ioni, lo studio della diversità funzionale della comunità batterica coinvolta nel processo, la selezione dei ceppi più efficienti e la loro applicazione), con il preciso intento trasformare un rifiuto in una vera e propria risorsa.

“In seguito alla scoperta che le proprietà elettrigeniche non sono esclusive di poche specie batteriche ma molto più diffuse di quanto si pensasse, si è voluto applicare la tecnologia delle Mfc direttamente al suolo, principale fonte di biodiversità del pianeta”, racconta Fani a Galileo: “Lo scopo era di esplorarne le proprietà elettrogeniche e compararle a quelle delle biomasse industriali, per individuare poi i principali organismi responsabili del fenomeno nel substrato”.

Per farlo i ricercatori hanno messo a punto due Mfc, in cui l’anodo conteneva 50 grammi di matrice (suolo in un caso, biomassa industriale nell’altro) sospesa in acqua distillata. L’anodo è stato collegato al catodo attraverso una membrana che consente il passaggio degli ioni. Per chiudere il circuito sono stati utilizzati elettrodi di grafite collegati tra loro da una resistenza esterna.

Il passaggio di corrente tra i due poli è stato misurato per circa tre settimane. Al termine dell’esperimento, le matrici sono state rimosse e analizzate per trovare eventuali correlazioni tra produzione di corrente elettrica e cambiamenti nella composizione della frazione organica o della diversità delle colonie di batteri.

I risultati hanno evidenziato una significativa tensione ai capi dei due elettrodi (oltre i 400 milliVolt per i rifiuti organici industriali e oltre i 200 milliVolt per il suolo) che ha portato sia alla produzione di elettricità sia alla selezione delle specie batteriche più efficienti, come Pseudomonas aeruginosa. È stata anche osservata una la stretta connessione tra tipo di sostanza organica e produzione di energia elettrica.

“L’energia ottenuta è in grado di accendere piccoli led e lampadine ma, per quanto riguarda l’efficienza di queste celle, le ricerche non hanno ancora fornito dati certi” commenta Fani: “Da un punto di vista scientifico questo progetto si propone come una novità a livello nazionale e tra i pochi a livello europeo. Sebbene esistano alcuni gruppi che hanno messo a punto con successo delle celle a microbatteri, il loro utilizzo come reale fonte di energia elettrica non è mai stato esplorato. Il progetto si propone invece di fornire le basi per una futura applicazione delle Mfc come possibile fonte di energia alternativa”. (p.f.)

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here