Caccia al pentaquark

Ancora una volta il pentaquark sfugge alla vista degli scienziati. L’esistenza di questa particella, “esotica” ma parente della materia ordinaria, ha sviluppato un dibattito scientifico di quasi trent’anni, che si è ravvivato negli ultimi tre. Analizzando dati accumulati in vecchi esperimenti, alcuni ricercatori hanno individuato indizi della sua presenza. Mentre altri non ne hanno trovato alcuna traccia. Il primo esperimento specialmente dedicato alla ricerca del pentaquark, condotto presso il Laboratorio Jefferson Lab in Virginia, e coordinato dai ricercatori italiani Raffaella De Vita e Marco Battaglieri dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ha dato un risultato negativo. Ma la questione non è ancora chiusa.Il pentaquark è un’aggregazione insolita dei costituenti più elementari della materia, i quark. Negli ultimi secoli, la fisica ha cercato di addentrarsi sempre più nella struttura microscopica della materia, cercando di scoprirne i mattoni fondamentali. All’inizio del XX secolo si pensava che fossero gli atomi (la parola vuol dire, appunto, “indivisibili”). Aggregati di diversi atomi costituiscono le molecole, e danno luogo alla grande varietà della materia. Più avanti si scoprì che gli atomi si potevano “dividere”, e che il loro nucleo era costituito di protoni e neutroni. E’ proprio il numero di protoni e neutroni presenti negli atomi che differenzia, ad esempio, l’oro dal carbonio. Infine, si comprese che gli stessi elementi del nucleo erano formati da oggetti più “elementari”. Tanto i protoni come i neutroni sono il risultato dell’aggregazione di tre quark. Il quark è l’atomo dei nostri giorni, nel senso che, allo stato attuale delle conoscenze, si ritiene che sia una particella indivisibile. Sebbene i quark compaiono tre a tre o nella combinazione quark-antiquark (1’antiquark è l’“antiparticella” associata al quark), è naturale domandarsi se in natura esistano combinazioni diverse di quark. È quello che si sono domandati molti ricercatori negli ultimi tre anni. Concentrandosi su una particelle, il pentaquark, che sarebbe costituita da 4 quark e 1 antiquark. La riduzione dei finanziamenti alla ricerca in fisica fondamentale e il periodo di pausa, in attesa che si avvii l’esperimento Large Hadron Collider (LHC) al laboratorio del Cern di Ginevra, hanno ridotto l’afflusso di nuovi dati sperimentali nel campo della fisica delle particelle. Questo ha portato molti ricercatori a cercare informazioni nei dati che hanno registrato e archiviato in passato. In questo modo, nel 2002, Takashi Nakano, dell’Università di Osaka, scopre le tracce di una particella di cui si parlava da quasi trent’anni. Nel 1977 i fisici teorici Gabriele Veneziano e Giancarlo Rossi ipotizzano l’esistenza di una nuova famiglia di particelle (il “barionio”), della quale il pentaquark è uno dei membri. L’esperimento Lear del Cern, dedicato allo studio del barionio, dà risultati equivoci, e l’ipotesi di Veneziano e Rossi cade nel limbo. Fino a quando, sette anni fa, la riprende il russo Dimitri Diakonov. Dopo lo studio di Nakano, molti ricercatori vanno a riguardare i dati dei loro vecchi esperimenti e conferme e smentite si susseguono.Un’indicazione potrebbe venire dalla Cromo Dinamica Quantistica (QCD), la teoria che studia il comportamento dei quark e della forza che li tiene legati, l’“interazione forte”. “Si tratta di una teoria fondamentale”, spiega Rossi. “La QCD riesce a riprodurre i risultati sperimentali noti, e a predirne di sconosciuti”. Nel caso del pentaquark, però, le cose sono più complicate. “L’esistenza di questo stato non è in contraddizione con la teoria, però non è neanche previsto. Nel senso che attualmente non si sa come risolvere analiticamente le equazioni che potrebbero dare un’indicazione definitiva in questo senso”. Sul versante teorico, si sta procedendo con simulazioni al computer del comportamento dei quark, per vedere se, almeno nella mente del calcolatore, il pentaquark è possibile.Ma la fisica è una scienza sperimentale. E per questo Raffaella De Vita e Marco Battaglieri, insieme allo statunitense Valeri Kubarovsky, hanno condotto un esperimento presso il Laboratorio Jefferson Lab, in Virginia, dedicato esplicitamente al pentaquark. L’esperimento consiste nel colpire un bersaglio di protoni con un raggio di fotoni. L’urto provoca una reazione, e fra i suoi prodotti ci potrebbe essere il pentaquark. L’esperimento, però, non ha rilevato nessuna traccia della sua presenza. “Questo è in contrasto con alcune delle osservazioni annunciate sino a ora”, spiega Battaglieri, “in particolare quelle riportate da un’esperimento analogo condotto nel laboratorio tedesco ELSA”. L’esperimento al Jefferson Lab, però, non mette la parola fine alla ricerca. “Le osservazioni basate su altre reazioni potrebbero essere veritiere”, aggiunge De Vita. “Per questo motivo stiamo estendendo la nostra ricerca a tutte le reazioni accessibili al Jefferson Lab”.

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