Cacciatori di pianeti e di asteroidi

La meccanica celeste vive una nuova fase di rilancio e sviluppo, soprattutto in Italia. Lo ha dimostrato il convegno nazionale (ma con una folta partecipazione di colleghi di altri paesi europei) organizzato fra il 21 ed il 24 aprile a L’Aquila. Gli organizzatori sono riusciti a fornire una panoramica abbastanza organica delle ricerche in corso nei tre settori che oggi si combinano a formare la meccanica celeste. Una branca della scienza che non sempre ha goduto di grande fortuna.

Un secolo fa, in una delle storie meno note di Sherlock Holmes, Conan Doyle mise in bocca al leggendario detective una notazione inquietante sul suo grande avversario, il malefico professor Moriarty: questi sarebbe stato un tempo uno scienziato brillante ma noto per l’astruseria delle sue teorie, comprensibili solo a pochissimi colleghi, e autore di un ponderoso trattato intitolato “Dinamica degli asteroidi”. L’aneddoto indica che già a quell’epoca la meccanica celeste non godeva di buona fama. Fino a poco tempo fa, in effetti, fra le discipline imparentate con l’astronomia la meccanica celeste veniva comunemente considerata come la materia più tipicamente “ottocentesca”, sinonimo di astrattezza e di tecnicismo matematico, e di conseguenza essa finiva per costituire un imbarazzante “buco nero” anche nelle conoscenze di molti astronomi professionisti.

D’altra parte, nella prima metà dell’800 la meccanica celeste aveva conseguito grandi successi e perfino una certa popolarità: simbolo eclatante ne fu la previsione teorica, presto confermata dalle osservazioni, dell’esistenza e della posizione nel cielo del pianeta Nettuno. Ma anche la teoria di Laplace sull’origine del Sistema solare e quella di Maxwell sulla struttura degli anelli di Saturno furono unanimemente considerate come grandi progressi della conoscenza scientifica. La svolta si ebbe verso la fine del secolo scorso, con Henri Poincaré, uno dei più geniali matematici e fisici “classici”, ma dall’impostazione piuttosto astratta, che lo rese incapace di formulare prima di Einstein la relatività (di cui pure aveva esplicitato molte premesse) e fece sì che le sue rivoluzionarie scoperte su quello che oggi si chiama il caos nei sistemi dinamici siano passate quasi inosservate per tre quarti di secolo. A partire dall’inizio del ‘900, la meccanica celeste si è così trasformata in una disciplina molto formalizzata, coltivata da pochi virtuosi di raffinate tecniche matematiche e piuttosto sterile nei suoi (limitati) rapporti con le osservazioni astronomiche e astrofisiche.

Oggi la situazione è cambiata di nuovo. Da una parte le nuove conoscenze sul Sistema solare, frutto delle esplorazioni spaziali degli ultimi tre decenni, hanno evidenziato la grande complessità della sua struttura dinamica, e non pochi aspetti stupefacenti ed enigmatici, che hanno stimolato la creatività dei teorici. Dall’altra la sempre maggiore disponibilità a basso costo di potenti mezzi di calcolo ha fornito uno strumento di interpretazione e di analisi del tutto diverso da quelli disponibili in precedenza, a metà strada tra la teoria e l’esperimento, e ha posto in luce la parzialità delle conclusioni ottenute con le vecchie tecniche, portando quasi naturalmente a introdurre nuovi concetti.

Siamo quindi in presenza di un grande fermento intellettuale, in particolare perché gli studi sulla dinamica del Sistema solare sempre più spesso si mescolano e si confondono con quelli di tipo astrofisico: da un lato i corpi del Sistema solare, da semplici punti luminosi in moto sulla sfera celeste, sono divenuti mondi complessi, con caratteristiche interne e superficiali determinate almeno in parte dal loro moto orbitale. Dall’altro quest’ultimo è spesso a sua volta influenzato da fenomeni esterni alla meccanica celeste tradizionale, quali le maree, le collisioni, le forze non gravitazionali.

Al convegno de L’Aquila sono stati presentati gli studi più astratti e generali (ma spesso basati su simulazioni numeriche al calcolatore) sul cosiddetto “problema gravitazionale degli N corpi” e sul caos nei sistemi dinamici, con applicazioni astronomiche che vanno dal moto orbitale degli asteroidi (che nonostante Moriarty ha ancora degli estimatori) fino all’evoluzione degli ammassi stellari e dell’universo nel suo complesso. Ma anche le ricerche focalizzate sull’evoluzione dinamica del Sistema solare e dei suoi componenti, in particolare la fascia di “comete giganti”, che si trovano aldilà del pianeta Nettuno, scoperta negli ultimi anni e gli oggetti che incrociano l’orbita della Terra e possono collidere con il nostro pianeta. Infine la progettazione di nuove missioni spaziali, da quelle relativamente poco costose basate sui micro-satelliti alle futuribili spedizioni umane verso Marte. Si è parlato anche in dettaglio del pericolo per i satelliti artificiali terrestri costituito dalla miriade di “detriti” orbitanti che ormai circonda il nostro pianeta, pericolo che può essere stimato quantitativamente ed estrapolato nel futuro solo con raffinati modelli dinamici.

Tutto bene dunque? Non proprio. In alcuni dibattiti svoltisi a margine del convegno, è stato sottolineato che la meccanica celeste sta soffrendo acutamente, in Italia ma non solo in Italia, dei tagli che negli ultimi anni hanno colpito la ricerca “fondamentale”, priva di applicazioni a breve termine. Mentre in altri paesi, come la Francia, questo è stato parzialmente bilanciato dall’esistenza di organici programmi spaziali, che richiedono un input continuo dalla comunità scientifica, nel nostro paese la lunga crisi dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) ha peggiorato la situazione. Sebbene negli ultimi mesi i rinnovati vertici dell’Asi abbiano annunciato un rilancio, per ora si tratta di parole più che di fatti, tanto è vero che nessun rappresentante dell’Agenzia era presente al convegno de l’Aquila (dove invece sono intervenuti importanti esponenti dell’Agenzia spaziale europea). Come in altri settori della ricerca, il problema più grave e urgente è quello delle giovani leve: la mancanza di borse di studio e di posti (anche a termine) per i giovani sta impedendo quella trasmissione delle conoscenze e delle abilità da una generazione all’altra di ricercatori senza la quale la scienza non può che indebolirsi e infine estinguersi.

Un consiglio per quanti vogliano avvicinarsi all’affascinante mondo della meccanica celeste. Gli organizzatori del convegno de L’Aquila sono autori di un agile e leggibilissimo volumetto (A. Celletti e E. Perozzi, “Meccanica Celeste – Il valzer dei pianeti”, collana “Tessere”, Cuen Editrice, Napoli 1996, L. 10.000), utile a chi voglia farsi un’idea degli sviluppi recenti della disciplina.

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