Cancro, più finanziamenti, meno promesse

Capita di leggere sui giornali che durante un comizio tenuto a San Giovanni a Roma, qualche tempo fa, il presidente del Consiglio abbia affermato che nella seconda parte del suo mandato ci si occuperà di curare il cancro. Non ero presente quindi non so quali siano le esatte parole che sono state usate. Purtroppo però una affermazione del genere appare plausibile. Curare il cancro è infatti uno dei grandi sogni dell’umanità. Va precisato subito, però, che non esiste una malattia chiamata cancro, ma molte malattie diverse riunite sotto lo stesso nome. Nel trattamento e cura di alcune di esse si sono fatti grandi passi in avanti, per altre non vi sono a tutt’oggi molte speranze. E mentre dei casi positivi si tende a parlare spesso, di quelli con poca o nulla speranza si tende a tacere.

Lo ha dimostrato recentemente l’analisi, condotta da Jessica Fishman dell’Università della Pennsylvania, degli articoli sul tema della cura del cancro apparsi sulle principali testate giornalistiche Usa: i giornali tendono a riportare i risultati positivi ottenuti e a tralasciare i casi più negativi, quelli in cui le sperimentazioni non hanno dato gli esiti sperati oppure gli effetti collaterali sono stati superiori ai benefici (vedi Galileo). La guarigione è più glamour della morte, come abbiamo imparato anche noi guardando qualche anno fa quello che è avvenuto con la cura Di Bella: sono state realizzate vere e proprie “soap opera” televisive per diffondere notizie di cure miracolose per il cancro, tutti i tipi di cancro. Una vera avventura mediatica che è stata trasformata tramite alcuni conduttori televisivi in un sogno collettivo. C’erano tutti gli elementi per costruire una grande storia mediatica. Il vecchio medico, bonario e comprensivo, le grandi lobbies farmaceutiche che vogliono continuare a far star male i pazienti pur di vendere i loro prodotti, in primis la chemio-terapia (cose vere in molti casi), i grandi luminari schierati contro una sorta di medicina democratica e di base.

La conseguenza grottesca di questa montatura mediatica è stata quella di costringere l’allora ministro della Salute Rosy Bindi ha stabilire un ticket per sperimentare la cura Di Bella, ticket che dovevano pagare anche i malati terminali, come al tempo era mia moglie Valeria. Lei aveva un tumore che non è molto mediatico: i malati di tumore del pancreas a tutt’oggi hanno pochissime speranze di sopravvivenza a due anni dal manifestarsi della malattia. Dunque, nel novembre del 1998, uscirono i risultati della sperimentazione che venne fatta sulla cura Di Bella, sperimentazione che non venne correttamente avviata prima della campagna di disinformazione sulle cure miracolose del cancro, ma sulla spinta dei media e delle manifestazioni di piazza. Fior di intellettuali, oltre due famosi conduttori televisivi – che a mio modesto parere avrebbero dovuto essere immediatamente allontanati da qualsiasi canale televisivo, pubblico o privato e sono invece tutt’ora i due più importanti conduttori televisivi dei “teatrini della chiacchiera” (talk show) – lanciarono appelli per la libertà di cura, contro il potere dei cattivi medici.

In quelle settimane Valeria e io scrivemmo un articolo su “L’Unità” in cui sostenevamo che libertà di cura significa prima di tutto libertà di essere informati in modo corretto su quali siano le diverse possibilità di cura, quali siano i risultati attesi, quali le ragionevoli speranze. Nello stesso numero del giornale vi era un articolo di sostegno alla cura Di Bella. È chiaro che parlare di una cura miracolosa del cancro, di tutti i tipi di cancro, fa vendere, attira pubblicità, crea dibattito. Molto meno ha attirato il risultato della sperimentazione. Come spiega l’inchiesta sui giornali Usa citata prima, dire che in alcuni casi non ci sono speranze, che le cure sono molto spesso lunghe e dolorose, che non sempre si guarisce e che la percentuale varia a seconda dei tipi di tumore, non fa vendere molto i giornali. Vogliamo tutti essere rassicurati.

I risultati della sperimentazione furono del tutto negativi. Molto correttamente il ministro Bindi disse che “la sperimentazione non si doveva fare, che non c’erano i presupposti scientifici…Le sole vittime di tutta la storia sono stati i malati e  i loro familiari, nei confronti dei quali sono saltati tutti i meccanismi di tutela”.
Vorrei infine dare un consiglio ai nostri governanti, a quelli di oggi e di domani: tutti vogliamo vivere sani, tutti vogliamo guarire se malati, tutti speriamo in cure efficaci e non dolorose. Compito di chi decide le politiche sanitarie di un paese è dare le informazioni corrette o lasciare dare le informazioni a quelli che sanno di che cosa parlano. Ma sembra di capire dai tanti teatri della chiacchiera che televisivamente fa molta più audience chi non ha la minima idea di quello di cui sta parlando; così è molto più facile litigare, basta dire il contrario di quello che afferma l’interlocutore, tanto non avendo idea dell’argomento, dire A o il suo contrario B è assolutamente indifferente.

Insomma lascerei fuori il cancro, i malati di cancro, le terapie sul cancro dal circo mediatico. E non prometterei cure più o meno miracolose per il futuro, piuttosto annuncerei che i fondi per la ricerca medica saranno aumentati, crescerà il numero dei ricercatori, saranno aumentate le valutazioni internazionali dei risultati per rendere sempre migliore la ricerca. Ben vengano Telethon e tutte le organizzazioni che si occupano di una malattia specifica. Ma va ricordato anche che è anche dalla ricerca di base in altri campi, e non solo da quello medico e biologico, che vengono i risultati che aiutano a trovare le cure. Moltissime delle apparecchiature mediche, delle strategie mediche, per esempio, sono state ottenute tramite risultati di ricerca di base in matematica e fisica.

Allora mi piacerebbe che un primo ministro affermasse un giorno non troppo lontano che le cure per tutti i malati, che la prevenzione per tutta la popolazione, l’attività di ricerca di base e specialistica, è una delle priorità del paese, e che tanto si investirà in questo settore, dando speranze ragionevoli e non miracolistiche, e alle volte fornendo informazioni “sgradevoli” su come si affrontano determinate malattie, che possibile esito possono avere, quali sono i rischi e i vantaggi. Nell’articolo del 1998 dicevamo che una cosa molto semplice da fare era mettere in rete per ogni struttura ospedaliera i tipi di malattie trattate, i tipi di interventi, i risultati ottenuti. Che tutti si potessero fare un’idea, magari mutuata tramite i medici di base, di quali possono essere le migliori strutture. Che non ci si faccia curare sulla base di quello che dice un cugino, un amico, un fratello. Di molti ospedali questi dati si trovano in rete, di altri grandi ospedali ci sono a malapena i numeri dei centralini.

Verrà il giorno in cui un presidente del Consiglio annuncerà che tutti i dati sono a disposizione dei cittadini? Evitando di dire che la malattia incurabile, come continuano a chiamarla i nostri cari telegiornali, sia miracolosamente curabile per volontà politica o mediatica?

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here