Brutti, goffi e brutali. Così vengono spesso dipinti dai paleoantropologi i Neanderthal, i cugini più prossimi di Homo sapiens. Ma una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences spinge ad avere verso di loro almeno un po’ di indulgenza, considerando quanto fossero dure le loro condizioni di vita. Così proibitive che molti di loro morivano per denutrizione, e gli altri membri del gruppo erano costretti a gettarsi sui cadaveri e divorarli per non morire a loro volta di fame. Lo sostiene un gruppo di ricercatori guidati da Antonio Rosas del Museo Nazionale di Scienze Naturali a Madrid, che hanno studiato i resti di Neanderthal ritrovati nella miniera di El Sidrón, nel nord della Spagna.
Studiando in particolare i denti e le ossa di otto individui, hanno individuato strisce di ipoplasia, la prova che l’individuo ha attraversato periodi di severa denutrizione durante la crescita. Non solo, ma i tagli rilevati sulle ossa suggeriscono che il cannibalismo fosse una pratica comune. “E’ probabile che le condizioni ecologiche fossero così dure da costringere questi individui a mangiare qualunque cosa fosse a portata di mano, compresa la carne dei loro simili” spiega Rosas. É anche possibile, però, che il cannibalismo avesse un qualche significato spirituale, come accade anche in alcune popolazioni umane di cacciatori/raccoglitori.
Confrontando i fossili spagnoli con quelli ritrovati in altri siti, Rosas ha potuto anche chiarire le differenze morfologiche tra i Neanderthal dell’Europa del nord e quelli del sud. Quelli meridionali avevano il viso e le mascelle più ampi, e questo supporta l’idea che esistessero diverse popolazioni di questa specie, modellate dalle diverse condizioni ambientali. (n.n.)
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