Categorie: Vita

Dove nasce la capacità dei pappagalli di imitare il linguaggio umano

Imitare suoni complessi? Una capacità rara tra gli uccelli. Solo pochi ci riescono: colibrì, gli uccelli canori e i pappagalli, con performance canore diverse per le differenti dimensioni del cervello, come già noto. Ma l’abilità dei pappagalli nella riproduzione dei suoni e del linguaggio umano è senza pari e, nonostante i molti studi compiuti nell’ultimo trentennio, non si era mai capito perché. Ora però le ragioni di questa straordinaria capacità sembrerebbero un po’ più chiare: un team internazionale di scienziati guidati da studiosi della Duke University (Stati Uniti) ha scoperto delle differenze strutturali nel cervello dei pappagalli che potrebbero spiegare questa loro tanto insolita quanto unica capacità.

Nel paper pubblicato su Plos One, i ricercatori descrivono come, grazie allo studio dei geni sia stato possibile identificare le strutture del cervello che controllano e sono coinvolte nell’apprendimento vocale. Le nove specie di pappagalli analizzate appartenevano a tre super famiglie, i Strigopoidea, i Cacatuoidea e i Psittacoidea. Quelle più conosciute per le loro doti imitatorie (Cenerino, Amazzone, Ara) sono risultate avere la zona intorno ai centri vocali – soprannominata informalmente guscio, caratteristica dei pappagalli e coinvolta anch’essa nell’apprendimento vocale – più grande rispetto alle altre. I neuroni che si trovano in queste zone, spiegano gli scienziati, svolgano un ruolo importante nell’apprendimento vocale e nei comportamenti motori complessi.

Finora invece i ricercatori avevano creduto che la regione intorno al core dei centri vocali non avesse nulla a che fare con questo. Di fatto è come se i centri vocali dei pappagalli fossero doppi, con un core e un guscio. Questo, insieme al coinvolgimento della zona nei movimenti complessi, secondo gli scienziati, consentirebbe di spiegare la capacità di alcuni pappagalli non solo di riprodurre vocalmente il suono ma anche di interpretarlo con il movimento, ovvero di ballare.

Strutture analoghe a quelle dei pappagalli moderni, ancorché rudimentali, sono state viste anche nel pappagallo considerato il più antico tra quelli analizzati, il Kea della Nuova Zelanda. Questo, spiegano gli autori, suggerisce che queste strutture nervose si siano originate almeno 29 milioni di anni fa e che da lì sia iniziata l’evoluzione e la specializzazione degli apparati e dell’apprendimento vocale di questi uccelli.

Questa nuova scoperta, commenta Mukta Chakraborty della Duke University, tra degli autori dello studio, rappresenta la base di nuovi filoni di ricerca finalizzati a capire i meccanismi alla base della capacità dei pappagalli adi elaborare le informazioni necessari a imitare il linguaggio umano e a riprodurre suoni sentiti anche una sola volta.

Riferimenti: Plos One Doi: 10.1371/journal.pone.0118496 

Credits immagine: Jonathan E. Lee, Duke University

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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