IN ITALIA un milione di pazienti cardiopatici, circa un terzo del totale, non ha ancora accesso ad interventi cardiaci mini-invasivi basati su tecniche cosiddette percutanee, che non prevedono cioè l’apertura del torace – dunque non lasciano cicatrici – e che sono spesso impiegate in anestesia locale e non generale. Per molti pazienti queste tecniche, più moderne e spesso più efficaci ma anche più costose, rappresentano lo standard di cura, in base alle linee guida nazionali e internazionali: il mancato accesso è pertanto dovuto all’assenza di una chiara governance regionale in tema di innovazione tecnologica, alla frammentarietà nei meccanismi di finanziamento. A rivelare questi dati è la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise), nel convegno romano. Tra i temi, le nuove opportunità interventistiche e l’accesso dei pazienti.
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