Carta d’identità per particelle

Sono passati più di 80 anni da quando, nel 1921, Otto Stern e Walter Gerlach scoprirono che l’elettrone aveva una importante caratteristica chiamata spin, ma il dibattito sulle implicazioni di questa proprietà è ancora vivissimo. “Lo spin è una proprietà indispensabile per scrivere la ‘carta d’identità’ delle particelle che costituiscono la materia”, spiega Franco Bradamante. Il ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare è stato uno degli organizzatori del Simposio Internazionale sulla Fisica dello Spin, arrivato ormai alla sua 16° edizione, che ha riunito più di 300 fisici di tutto il modo dal 10 al 16 ottobre scorso a Trieste. Ogni particella è caratterizzata da una certa massa, una certa carica, e un certo “momento magnetico intrinseco” (lo spin, appunto). In altre parole, è come se la particella fosse un corpo carico in rotazione. E quindi, si comportasse come un aghetto magnetico. Ma il mondo microscopico ha le sue leggi, che sono diverse da quelle che vediamo tutti i giorni. Infatti questo “aghetto”, immerso in un campo magnetico, si può orientare solo in un certo numero di direzioni fissate. Sembrerebbe una proprietà secondaria rispetto alla massa, che fa che le cose “pesino” e alla carica, che è alla base di fenomeni elettrici e magnetici. Ma non è così. Lo spin determina la maniera nella quale si dispongono gli elettroni intorno al nucleo, e quindi, la “forma” dell’atomo, dalla quale derivano le sue caratteristiche chimiche. Inoltre, le proprietà dello spin sono state utilizzate per applicazioni tecnologiche di grande importanza. In particolare quelle mediche, come la risonanza magnetica nucleare. O altre tecniche di visualizzazione di parti dell’organismo umano, che permettono sempre maggiore risoluzione riducendo la radiazione assorbita dal corpo. Tuttavia, la rilevanza teorica dello spin è un’altra: questa proprietà fornisce un criterio per decidere se una particella è veramente “elementare”. Ovvero se è un costituente fondamentale della materia, indivisibile e non costituito di oggetti più piccoli. Infatti, nel 1928, il fisico Paul Adrien Maurice Dirac scoprì che una particella di questo tipo rispetta una precisa relazione fra spin, carica e massa. Armati di questo strumento, i fisici hanno rivelato che i protoni e i neutroni, le particelle che costituiscono il nucleo dell’atomo, non sono affatto elementari, ma devono essere composte da oggetti più piccoli. E la struttura di questi “nucleoni” è ancora oggi al centro del dibattito della comunità che studia lo spin. Negli anni Sessanta si introdusse il concetto di “quark”, ovvero di una particella elementare, che, insieme a due compagne, forma un protone e un neutrone. Ma questo semplice modello venne confutato nel 1987 da un esperimento del Cern di Ginevra, che scatenò la cosiddetta “crisi dello spin”. Il contributo dei quark allo spin del protone era solo una piccola frazione del suo valore totale. “Il nucleone è un sistema ancora in parte sconosciuto”, spiega Bradamante, “costituito da un mare spumeggiante e agitato di particelle ‘virtuali’ in continua creazione e annichilazione”. Il problema dello spin dei nucleoni è ancora aperto, e la ricerca italiana sta dando un rilevante contributo, in questa direzione, con l’esperimento Compass, che si svolge al Cern, coordinato, fra gli altri, da Bradamante. Compass consiste nel bombardare dei protoni con fotoni polarizzati, ovvero con gli spin allineati con quelli del bersaglio. “Il risultato dell’urto fra due palle da biliardo”, spiega Bradamante,”dipende anche da come stanno ruotando su sé stesse. Come la traiettoria di una palla da biliardo può essere modificata da un tiro a effetto, anche nell’urto fra due particelle polarizzate la traiettoria successiva può essere influenzata dallo spin”. In questa maniera, si può ottenere informazione sullo spin delle particelle interne al protone, senza doverlo ‘fare a pezzi’”.

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