Tutti pazzi per il cannabidiolo

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Studi scientifici. Prodotti biologici, naturali, senza ogm, pesticidi o inquinanti. Analizzati in laboratorio. La presentazione dei prodotti a base di cannabidiolo (Cbd) da parte dei vari rivenditori online è così ben condita – mediaticamente parlando – da lasciare a bocca aperta o far alzare il sopracciglio. Sembra troppo bello per essere vero: un prodotto naturale, sicuro, rilassante, antiinfiammatorio, antidolorifico, calmante, buono contro l’insonnia, la depressione e perfino contro la sclerosi multipla. Tutto in un’unica sostanza, il cannabidiolo, ingrediente estratto dalla cannabis (tra i centinaia di composti attivi derivabili dalla sostanza) e che si può assumere praticamente in qualsivoglia forma, in percentuali variabili: può essere svapato, ingerito come gocce o capsule, scolato in birre e cocktail, spalmato in creme, perché la moda del Cbd ha conquistato anche il settore dei cosmetici, facendo proseliti. E si è spinta anche oltre, allargandosi alla veterinaria.

Eppure nei giorni scorsi Dustin Lee, studioso in psichiatria e scienze comportamentali alla Johns Hopkins University sulle pagine del New York Times ne parlava come di una sorta di nuovo olio di serpente: tanto rumore, tanti proprietà attribuite, poche (ancora) evidenze scientifiche. Come altri esperti quando si parla del cannabidiolo, Lee si riferisce al fatto che, al momento, ci si muove più sul piano delle potenzialità che di effetti certi, documentabili e coerenti. Servono, in sostanza, dicono diversi esperti, ancora studi sul tema. Non che manchino, tutt’altro: a sfogliare le pagine di clinicaltrial.gov sono diverse le sperimentazioni che prevedono l’uso del Cbd contro l’ansia o nelle malattie infiammatorie e intestinali, per esempio. E sul database PubMed sono centinaia le ricerche che hanno come oggetto il cannabidiolo, con un numero di pubblicazioni in impennata nell’ultima decina di anni. La letteratura scientifica e la ricerca clinica sono fiorenti e promettenti, ma allo stato attuale oggi cosa potremmo dire del Cbd, quando il marketing sembrerebbe averne già decretato il successo?

Il cannabidiolo non è psicoattivo

A pronunciarsi, recentemente, è stata la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso il gruppo di esperti dell’Ecdd (Expert Committee on Drug Dependence), chiamati a realizzare una revisione sulla cannabis e i prodotti derivati. Scopo del lavoro degli esperti, racconta a Wired.it Giuseppe Cannazza, chimico farmaceutico esperto di cannabis, dell’università degli studi di Modena e Reggio Emilia che ha partecipato ai lavori, era anche capire che posto dare a cannabis e prodotti derivati (quindi anche il cannabidiolo) all’interno della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 della Nazioni Unite. Si tratta di un accordo internazionale che vieta la produzione e vendita di sostanze stupefacenti e farmaci con effetti simili, ad eccezione di scopi medici e di ricerca. All’interno della convezione diversi allegati classificano la pericolosità, il rischio di abuso e il potenziale terapeutico delle sostanze.

“Il cannabidiolo puro non era presente in nessuna di quelle tabelle”, ricorda Cannazza. Cosa raccomandano oggi gli esperti? Il parere è che il Cbd, non avendo proprietà stupefacenti (a differenza del Thc che è una sostanza psicoattiva), e avendo mostrato un potenziale terapeutico non debba essere posto sotto controllo internazionale. Inoltre non ci sono stati casi di abuso o dipendenza collegati al Cbd puro, né si sono registrati problemi di salute pubblica. La sostanza è generalmente ben tollerata e con un buon profilo di di sicurezza. “Parliamo di Cbd puro, ottenuto per estrazione o da sintesi – riprende Cannazza – discorso analogo per le preparazioni a base di principalmente di cannabidiolo che non contengano più dello 0,2% di Thc. Riconoscendone il valore terapeutico, la proposta dell’Oms alle Nazioni Unite è di eliminare dalle tabelle degli stupefacenti queste preparazioni a base di cannabis con contenuto di Thc inferiore allo 0,2%”. I criteri usati allora, concludono gli esperti, non valgono più oggi per la cannabis e i prodotti derivati. “Ora spetta alle Nazioni Unite capire se e come accettare queste raccomandazioni”, spiega Cannazza, “se le votazioni attese entro l’anno, o agli inizi del 2020, le recepiranno, lo stesso dovranno fare i paesi aderenti alla convenzione, Italia compresa”.

Una zona grigia a livello legislativo

In questo modo sarebbe possibile avere un quadro legislativo più chiaro, anche per il Cbd, per ora una sostanza dalle innumerevoli e potenziali proprietà, ma oggi non ancora di così comprovata efficacia. E che si trova normativamente in una zona grigia, considerata ora come farmaco, ora integratore o novel food, almeno dall’Unione europea. “Sembrano esserci pochi limiti sulla quantità di cbd ma più sulle condizioni – riassume l’agenzia per il monitoraggio delle droghe dell’Unione Europea – la legalità della distribuzione sul mercato del prodotto può dipendere dalla fonte del cbd, dal formato del prodotti, e da come il prodotto è presentato”. Un quadro normativo chiaro potrebbe aiutare a contenere questo far west, riprende Cannazza. Magari abbracciando una proposta simile a quella dei coltivatori di canapa in Europa, che segua uno schema graduale a seconda delle dosi di cannabidiolo: nessuna regolazione per le piccole (meno di 20 mg al giorno), normato come integratore per dosi intermedie (fino a 160 mg al giorno) e considerato farmaco a dosi più elevate (superiore ai 200 mg al giorno). Oggi in Italia i prodotti con cbd risultano legali nella misura in cui legale ne è la provenienza, per esempio da cannabis legale (a basso contenuto di Thc).

Cbd, promesse ed evidenze scientifiche

Al di fuori delle questioni normative, il potenziale del Cbd è reale, ricordano gli esperti. Ma di qui a farne una panacea contro ogni male ce ne corre. A oggi per il cbd ci si muove sul fronte delle potenzialità, con studi in corso in diverse aree terapeutiche. “Alcuni suggeriscono che possa avere un effetto antiinfiammatorio, neuroprotettivo, antidolorifico e ansiolitico”, va avanti Cannazza, “ma parliamo di indizi, di evidenze ottenute soprattutto in ambito preclinico, sui modelli animali”. Le prove per l’uomo sono ancora deboli, riassumeva una rassegna in materia a inizio febbraio 2019. Non sappiamo se quanto osservato si traduca in benefici reali e quantificabili per la salute umana, non si possono escludere interazioni con farmaci e sono stati segnalati problemi di sonnolenza e a livello gastrointestinale. Le attese forse per il cannabidioloribadiscono gli esperti, sono troppo elevate al momento.

Non abbiamo, in altre parole, evidenze paragonabili a quelle che hanno portato all’ingresso in commercio di farmaci con cbd, come il Sativex contro i sintomi muscolari in ambito neurologico (dove il cbd si trova insieme al THC) o all’anti-epilettico Epidiolex a base di cbd, negli Usa. “Il cbd, come anche altri composti estratti dalla cannabis, ha un profilo terapeutico estremamente promettente, che lascia bene sperare, forse per la sua attività sul sistema endocannabinoide, così diffuso nel nostro organismo, ma abbiamo bisogno ancora di studi per capire dove e quando impiegarlo”, ricorda Cannazza. Nell’attesa meglio non affidarsi al fai da te, anche per non inseguire aspettative elevate. “Non dimentichiamo che il cbd è un composto attivo dal punto di vista biologico, è presente anche nell’olio di semi di canapa come abbiamo visto nel mio gruppo, ma con concentrazioni estremamente basse”. Che sia la dose a fare il farmaco lo ribadiva tempo fa anche Philip McGuire, docente di psichiatria e neuroscienze cognitive al King’s College di Londra, sul Guardian, mettendo in guardia dagli effetti osservati negli studi, con dosi elevate e controllate di cbd, diverse da quelle presenti negli innumerevoli prodotti del marketing.

Rimane da indagare il nodo della sicurezza

“Non sappiamo inoltre come vengano realizzati tutti questi prodotti a base di cbd e se effettivamente i prodotti in commercio contengano quel che promettono”, riprende Cannazza. Non mancano infatti dati in proposito e a volte i prodotti sono risultati anche contaminati con Thc. “La cannabis inoltre è un bioaccumulatore di metalli pesanti e senza conoscere la filiera di produzione ed estrazione non sappiamo cosa possono portarsi dietro i prodotti a base di Cbd”, conclude l’esperto: “Un quadro normativo più chiaro aiuterebbe anche a garantire standard di sicurezza”.

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