Un fotone incidente, un elettrone emesso. È un limite teorico delle celle solari che, fino a questo momento, nessuno era ancora riuscito a superare. Ma le cose potrebbero presto cambiare: un’équipe di scienziati del Massachusetts Institute of Techonology, infatti, ha appena dimostrato la fattibilità di una tecnica che “estrae” due elettroni da un solo fotone con le celle a base di silicio. Un risultato che, se confermato, apre la strada a pannelli solari di silicio di nuova generazione, molto più efficienti rispetto a quelli attuali. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Le celle solari convenzionali, a base di silicio, hanno un’efficienza teorica massima pari a circa il 29,1%: vuol dire che meno di un terzo dell’energia solare incidente viene trasformata in energia elettrica. Nel tentativo di aumentare tale efficienza, gli autori del lavoro appena pubblicato sono partiti da un’ipotesi nota da diversi decenni ma dimostrata teoricamente solo sei anni fa. Lo studio originale, in particolare, dimostrava che era possibile estrarre due elettroni usando un singolo fotone, ma solo su celle solari a base di materiali organici, meno efficienti di quelle a base di silicio. Gli autori del nuovo studio erano convinti di riuscire a replicare più o meno facilmente gli stessi risultati sulle celle al silicio, ma così non è stato: “Trasformare l’idea iniziale in una cella solare al silicio completamente funzionante”, spiega Marc Baldo, uno degli scienziati responsabili della scoperta, “ha richiesto diversi anni di prove ed errori e di duro lavoro. Ora pensiamo di aver finalmente raggiunto l’obiettivo che avevamo in mente”.
Il principio teorico alla base del meccanismo di estrazione di due elettroni si rifà ai cosiddetti “eccitoni”, particolari stati eccitati della materia che solo alcuni materiali sono in grado di raggiungere: “Nei materiali eccitonici”, dice ancora Baldo, “ci sono dei pacchetti di energia che si propagano sulle superfici come se fossero elettroni in un circuito elettrico, ma con qualche differenza: è possibile agire su questi pacchetti e modificarne l’energia, per esempio spezzandoli a metà o combinandoli l’uno con l’altro”. È proprio questo l’approccio seguito dagli scienziati: “rompere” l’energia dei pacchetti – in gergo tecnico si chiama “fissione di un singoletto eccitonico” – e ricavare da un singolo “treno” di energia due treni più piccoli, che si muovono indipendentemente. Il materiale, nello specifico, assorbe un fotone e crea un eccitone che poi rapidamente si divide in due stati, ciascuno con energia pari alla metà di quella portata dal fotone originario.
La parte più complicata dell’esperimento, come si accennava, è stata la replicazione del meccanismo sul silicio, un materiale non eccitonico. Per riuscirci, gli scienziati hanno dovuto introdurre un passaggio intermedio, servendosi dei cosiddetti quantum dot: senza scendere in dettagli troppo tecnici, si tratta di nanostrutture in grado di generare una sorta di “pozzi di potenziale” in cui si accumulano i portatori di carica positiva e negativa. Sfruttando le proprietà dei quantum dot, i ricercatori sono infine riusciti a imitare sulle superfici delle celle solari al silicio, opportunamente trattate, il meccanismo di divisione dell’energia di un singolo fotone, arrivando infine a estrarre due elettroni anziché uno solo. “Si può lavorare ulteriormente all’ottimizzazione delle celle”, conclude Baldo, “ma il nostro lavoro rappresenta un punto di partenza che conferma con certezza che il principio è corretto e concretamente realizzabile”.
Riferimenti: Nature doi: 10.1038/s41586-019-1339-4
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