Rompere gli schemi (cellulari) con l’intelligenza artificiale

Come fare per alterare una dinamica di coordinazione cellulare di cui non si conosce il meccanismo? Semplice: basta chiedere a una intelligenza artificiale. È quanto hanno fatto ricercatori della Tufts University e della University of Maryland per sapere come intervenire in fase di sviluppo embrionale per ottenere girini con una specifica caratteristica fisica mai osservata. Con un esito notevole: la piattaforma di machine learning da loro sviluppata ha saputo predire l’esatta combinazione di composti chimici da inserire nelle cellule per giungere al risultato richiesto.

“Nessuno scienziato umano avrebbe potuto fare altrettanto”, sostiene Daniel Lobo, primo autore della ricerca, pubblicata su Scientific Reports. Lobo e collaboratori hanno studiato un processo in cui, durante lo sviluppo embrionale del girino, cellule di pigmento (melanociti) potevano convertirsi in una forma metastatica simil-cancerosa, con una peculiarità rilevante: in ogni singola larva di girino, o tutti i melanociti si convertivano, o tutti rimanevano sani. Gli esperimenti sono stati ripetuti centinaia di volte, perturbando in diversi modi l’ambiente cellulare e registrando la frequenza con cui tali perturbazioni risultavano in una larva mutata. I risultati sono poi stati “dati in pasto” alla piattaforma di machine learning (o apprendimento automatico) che – attraverso un cosiddetto algoritmo evolutivo – ha saputo estrapolare i parametri di un complesso modello matematico che interpretasse correttamente i risultati osservati.

A questo punto, i ricercatori hanno “chiesto” all’intelligenza artificiale di simulare migliaia di esperimenti con nuove combinazioni di perturbazioni, al fine di scoprire se ve ne fosse qualcuna che potesse rompere il meccanismo di coordinazione cellulare, producendo una conversione di melanociti solo parziale mai osservata precedentemente. Tra tutte, la piattaforma ha stabilito che una sola particolare combinazione di tre reagenti (altanserina, resepsina e VP16-XICreb1) avrebbe raggiunto l’obiettivo. Il cocktail farmaceutico è stato dunque usato in vivo, su girini veri, confermando la bontà della predizione dell’intelligenza artificiale.

“Approcci di questo tipo rappresentano un passo fondamentale per la medicina rigenerativa”, spiega Michael Levin, coautore dello studio. “Gran parte della biomedicina si riduce a questo: abbiamo un sistema biologico complesso e una tonnellata di dati sugli effetti generati su di esso dalle varie perturbazioni. Ora vogliamo fare qualcosa di diverso – curare una malattia, controllare il comportamento cellulare, rigenerare tessuti. Per quasi ogni problema in cui sono disponibili molti dati possiamo usare questa piattaforma per individuare un modello e interrogarlo per vedere cosa dobbiamo fare per raggiungere un risultato X”.

“È certamente un lavoro rilevante, che si immette nello sviluppo di un filone di ricerca molto attuale”, conferma Michele Caselle, fisico e docente di Biologia dei Sistemi dell’Università degli Studi di Torino, non coinvolto nella ricerca. “Capire i meccanismi alla base della differenziazione cellulare che portano ad aberrazioni – e quindi a malattie – e come controllarli in modo farmacologico per intervenire e curare è il futuro della ricerca in ambito biomedico. Sviluppare sistemi basati sull’uso dell’intelligenza artificiale si inserisce perfettamente in questa direzione”.

Così la pensano anche gli autori dello studio, che mirano in futuro a estendere l’approccio a vari aspetti della medicina rigenerativa, come la riprogrammazione di tumori, il controllo della dinamica di cellule staminali e la rigenerazione cellulare.

Riferimenti: Scientific Reports

Articolo prodotto in collaborazione con il master SGP di Sapienza Università di Roma

Michele Avalle

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