Cellule apripista

Particolari cellule staminali, modificate a livello dei geni, potrebbero permettere la ricostituzione del tessuto degenerato dalla distrofia muscolare di Duchenne (Dmd), anche quando la malattia è uno stadio avanzato. Si tratta di un ulteriore passo verso la messa  a punto di una terapia, a cui stanno lavorando da anni i ricercatori della Fondazione Parco Biomedico San Raffaele di Castel Romano, coordinati da Giulio Cossu dell’Università di Milano. La ricerca, pubblicata su Nature Medicine, è stata condotta da Cesare Gargioli e Marcello Coletta, insieme a Fabrizio de Grandis e Stefano Cannata dell’università romana di Tor Vergata.

Dagli studi precedenti e dalle sperimentazioni sui modelli animali è noto che i mesangioblasti, cellule staminali normalmente associate ai vasi sanguigni, sono in grado di diffondersi facilmente nell’organismo e fondersi con il tessuto muscolare rigenerandolo (terapia cellulare). Negli stadi avanzati, però, questo trattamento si era finora rivelato poco efficace a causa della difficoltà di penetrare fra le fibre muscolari. La degenerazione, infatti, è accompagnata da un processo di infiammazione seguito dalla cicatrizzazione del tessuto che ostacola l’apporto di sangue (e quindi di ossigeno) ai muscoli. Con il progredire della Dmd, quindi, le fibre muscolari vengono sostituite con tessuto adiposo e connettivo, e quelle rimaste integre risultano bersagli irraggiungibili per la terapia cellulare.

Per superare l’ostacolo, i ricercatori hanno modificato geneticamente le cellule derivanti dai tendini (i fibroblasti), in modo da far loro esprimere la proteina metalloproteasi 9 (Mmp9), una molecola in grado di degradare il collagene che si accumula fra le fibre in degenerazione. Le cellule sono state iniettate nei topi, insieme a un fattore di crescita derivante dalla placenta (Pgif), noto per la sua caratteristica di indurre la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questa doppia azione ha consentito ai mesangioblasti di entrare più facilmente a contatto con le fibre muscolari e di dare avvio alla loro rigenerazione. Il prossimo passo sarà verificare se nell’organismo umano il trattamento avrà la stessa efficacia: nei topi, infatti, la rigenerazione delle fibre muscolari continua parzialmente anche nelle fasi più avanzate della distrofia. (s.s.)

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