Cent’anni da salvare

Il ‘900 è stato il secolo dello straordinario sviluppo scientifico e tecnologico, che ha portato ai satelliti, alla bomba atomica, alle telecomunicazioni. Ma è stato anche il secolo che ha visto la fine di tante ideologie politiche nate nell’800. Insieme allo storico Nicola Tranfaglia, abbiamo tentato di ricostruirne brevemente alcuni dei tratti salienti

Professor Tranfaglia, è possibile delineare brevemente la fisionomia del secolo che si chiude?

A mio avviso, il ‘900 è stato soprattutto caratterizzato dalla realizzazione delle promesse legate alla Seconda rivoluzione industriale, che risale alla seconda metà dell’‘800. Per esempio, si può senz’altro affermare che il settore della fisica-chimica, o quello dell’elettricità abbiano rappresentato un fattore di sviluppo molto importante nella prima metà del secolo. Ci sono stati, inoltre, progressi straordinari nel campo della biologia e della medicina, alcuni dei quali riguardano direttamente la vita quotidiana, come per esempio le tecnologie per la conservazione dei cibi.In sostanza, possiamo definire il XX secolo come il secolo dell’industrializzazione legata al progresso scientifico e tecnologico.

E per quanto riguarda la società in senso più generale?

Uno dei più grandi mutamenti nell’ambito dell’organizzazione della società umana degli ultimi cento anni è senz’altro il declino dei parlamenti nazionali e il rafforzamento degli organi esecutivi, e questo si è visto soprattutto nelle nazioni dove la democrazia era più debole: l’Italia, la Germania, o il Giappone. Ma anche laddove non si sono avute vere e proprie dittature né Stati totalitari, il rafforzamento degli esecutivi, insieme all’emergere di poche figure carismatiche – secondo quello che aveva previsto il grande sociologo Max Weber -, hanno evidenziato l’esistenza di una contraddizione molto forte all’interno del concetto stesso di democrazia. Da un lato, infatti, le democrazie hanno apparentemente garantito una partecipazione di massa sempre più allargata, dall’altro questo nei fatti non ha rappresentato una garanzia di maggiore presenza da parte dei cittadini, di maggiore democrazia appunto. Possiamo dire che, nel volgere di questo secolo, tutte le ideologie nate nell’‘800 e nel ‘900 sono entrate in crisi. E oggi assistiamo alla crisi del concetto stesso di democrazia, che non ha saputo fare i conti con i cambiamenti avvenuti a livello economico, scientifico e tecnologico. Il problema è che al concetto di democrazia non si è sostituita nessun’altra ideologia per così dire totalizzante.

Questo vale sul piano politico e delle istituzioni. Ma come è cambiato il “vivere civile” negli ultimi cento anni?

Il cambiamento maggiore riguarda le condizioni di vita delle masse. Questo è vero innanzitutto sul piano economico, che poi si riflette anche nell’organizzazione sociale. Per esempio, se nell’‘800 la struttura aggregativa era quella della famiglia allargata, il ‘900 ha visto l’emergere e l’affermarsi della famiglia ristretta o nucleare. Che ha lasciato poi il posto ad una tendenza, sempre più diffusa, alla vita da “single”: oggi sono sempre più numerose le persone che abitano da sole, e intrattengono relazioni umane che trascendono il concetto di famiglia “biologica” tradizionale.

Un altro aspetto fondamentale del nostro secolo, che avrà ripercussioni sempre più estese sulla vita degli abitanti di questo pianeta, è la “terza rivoluzione industriale”, cioè la rivoluzione elettronica. Le moderne tecnologie della comunicazione consentono infatti non solo a tutti i paesi di comunicare velocemente tra loro, ma hanno anche portato al dominio dei mezzi di comunicazione di massa. Oggi i media hanno un peso politico più forte di quanto non abbiano mai avuto nel passato.

Quali sono le speranze che questo secolo non ha visto realizzate?

Innanzitutto l’ideale di democrazia. Salvo rarissimi esempi, penso alle nazioni della penisola scandinava, a livello generale gli Stati democratici non sono stati capaci di realizzare l’ideale democratico, garantendo allo stesso tempo alla popolazione dei buoni standard di vita. Per quanto riguarda la politica, personalmente, confesso di non avere grandi speranze per il futuro. Innanzitutto, perché la politica, con l’ingresso sulla scena dei mezzi di comunicazione di massa, ha perso di autonomia. La partecipazione è solo apparenza, e non è la realtà. Inoltre, come dicevo poc’anzi, oggi non ci sono più forti ideologie, e quando è così allora è l’economia a prendere il sopravvento su ogni forma di strategia o ideale politico. C’è poi un’altra grande speranza che non è stata realizzata dal ‘900, una speranza che è stata all’origine di tante aspettative dei socialismi all’inizio del secolo: quella di arrivare ad una maggiore uguaglianza. L’unico esperimento, quello della rivoluzione bolscevica, come sappiamo è fallito. E non ci sono altri tentativi all’orizzonte.

E le promesse mantenute?

Non parlerei di promesse mantenute, quanto di alcuni vantaggi che, nonostante tutto, abbiamo acquisito in senso generale. Innanzitutto, lo ripeto, le condizioni di vita delle masse nei paesi sviluppati sono molto migliori che non in passato. Inoltre, queste nostre democrazie “zoppe”, se hanno fallito sul piano pubblico, consentono in effetti una grande libertà sul piano privato, e questa è una novità assoluta rispetto ai secoli precedenti. Poi, c’è la faccia ‘buona’ del boom delle comunicazioni su scala planetaria: si è allargata la visione del mondo, un mondo che è diventato allo stesso tempo più grande e più piccolo. La nostra sfera di interesse, quella che ci sembra la ‘nostra’ terra, si è estesa infatti a tutto il pianeta, che per questo appare anche più ristretto, a “portata di mano”. Ciò consente, e questo è sicuramente un altro aspetto positivo, di fare confronti e paragoni tra mondi diversi. Oggi noi, per esempio, leggiamo opere letterarie di tutti i paesi del mondo, una cosa impensabile solo cento anni fa.

Un bilancio?

Quello che posso constatare è che ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione, la terza rivoluzione industriale che, come ho detto, coinvolge soprattutto le tecnologie delle comunicazioni. Questo non può che dare un senso di incertezza nel futuro. Un senso di incertezza percepito soprattutto dalle giovani generazioni, che semplicemente si chiedono che cosa accadrà di loro da qui a pochi decenni.

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