Cent’anni di aspirine

La casa editrice Collins ha pubblicato uno strano libro quest’anno: un repertorio di fine secolo. Contiene 100 parole o espressioni che hanno fatto la storia umana dal 1896 al 1997. Trionfi e tragedie, gioie e dolori. Ogni anno un evento, una scoperta. Così, se nel 1935 compare la sigla “alcolisti anonimi”, il 1941 è l’anno del “radar”, il 1924 quello del “surrealismo”, mentre il 1965 segna l’ingresso della “minigonna”.

Il 1897 è l’anno dell’aspirina. Ma la citazione è significativa non solo in sé. Le altre sole voci relative alla salute che hanno monopolizzato un intero anno – almeno secondo la Collins – sono appena tre: la penicillina nel 1928, il bimbo in provetta nel 1978, l’Aids nel 1983. Perché tanto spazio per una compressa?

Certo, parliamo del farmaco più venduto da decenni, e le cifre dei consumi sono da capogiro. Nel 1996 ne sono stati consumati 11 miliardi di compresse in tutto il mondo. Una accanto all’altra, avrebbero fatto un nastro lungo 13 milioni di chilometri, 34 volte la distanza Terra-Luna. In altre parole, una dimostarzione che febbre e dolore sono da sempre grandi nemici dell’uomo della strada e grandi procacciatori d’affari dei produttori di farmaci. Per trovare un rimedio più comune dell’aspirina bisogna allargare lo scenario a terapie d’altro genere, o meglio a società con paradigmi culturali diversi dal nostro. In uno strano libro che mescola assoluti e resoconti di conversazioni – “Medici e stregoni” di Tobie Nathan, psicologo clinico a Parigi – l’autore si chiede: “qual è il medicinale più usato al mondo? – Non so…, forse l’aspirina? No! La preghiera!”.

Il fatto è che l’aspirina è un topos, una nicchia della nostra cultura dove s’incrociano vissuti e simbologie diverse, contraddittori persino. Il regista François Truffaut scriveva che libri o film dal successo strepitoso non vanno più considerati con le categorie della critica letteraria o cinematografica, ma con quelle della sociologia. Per il successo dell’aspirina la critica farmacologica non basta.

Nell’immaginario nostrano, questa medicina è il prototipo del farmaco fai da te, una sorta di coperta di Linus, il primo cui chiediamo aiuto con i disturbi più comuni e banali come il mal di testa o un’influenza. Probabilmente nell’immaginario collettivo non c’è farmaco più collaudato di questo, e quindi le sorprese sono poco probabili. E’ anche il farmaco più blando, il primo gradino di un’ipotetica scala terapeutica, quello dal quale non ci si può aspettare più di tanto. D’altra parte, è anche un modello del fatto che non c’è rosa terapeutica senza spine. E questa plurisignificanza fa sì che una persona prenda un’aspirina perché sta male con l’influenza, un’altra colpita dal dolore reumatico protesti col medico che gli ha prescritto solo l’aspirina, un’altra ancora abbia una reazione d’allarme al solo sentirne parlare: “mi buca lo stomaco”, dice.

Anche per i medici, comunque, la vicenda aspirina è suggestiva, parecchio suggestiva. Mostra, per esempio, che gli effetti collaterali non vengono tutti per nuocere, ma possono essere un pungolo intellettuale quasi come il desiderio di fatturato. Si sapeva da anni che l’acido acetilsalicilico dell’aspirina disturba i meccanismi della coagulazione, ma solo negli ultimi anni si è pensato d’usarlo – proprio per questa ragione – nella prevenzione della trombosi, ovvero del principale killer dei paesi industrializzati, responsabile dell’infarto cardiaco, per esempio. Ma la vicenda illustra anche che abbiamo più probabilità di essere uguali di fronte alla legge che di fronte a una medicina. Per morire d’aspirina in genere occorrono dalle 20 alle 60 compresse. Ma sono stati riportati i casi di una persona rimasta indenne dall’ingestione di 130 grammi di acido acetilsalicilico – l’equivalente di 260 compresse – e quelli meno fortunati di altre, evidentemente ipersensibili al farmaco, morte con 2-3 compresse.

Un altro prezioso insegnamento dell’aspirina, per chi abbia voglia d’imparare, naturalmente, è che la sua vicenda dimostra come il pericolo di un farmaco sia legato non solo e non tanto ai suoi rischi intrinseci, ma – legge inclemente della statistica – innanzitutto a quanto se ne consuma. Non è bene che nelle case si trovi l’aspirina con la stessa frequenza con cui s’incontra il barattolo di Nutella, in qualche modo per la stessa ragione. Se aumentano i consumi, in parallelo aumentano i rischi di un uso insensato o di sorprese sgradevoli. La popolarità della Nutella fa lievitare le probabilità d’incontrare nuclei familiari dove qualche membro ne consuma un barattolo al giorno, con tutte le conseguenze del caso. Per l’aspirina è lo stesso. “Considerata la loro popolarità e facile reperibilità”, sostiene l’autorevole manuale di farmacologia Goodman&Gilman’s, “i salicilati sono causa frequente d’intossicazioni, spesso nei bambini e in qualche caso mortali”.

E pensare che tutta la vicenda ebbe origine per gli effetti indesiderati di un prodotto vegetale, nell’ultimo decennio del secolo scorso. Il padre di Felix Hoffman, che lavorava ai laboratori Bayer di Elberfield, nel campo dei coloranti sintetici, ebbe un peggioramento della sua artrite e chiese al figlio di darsi da fare per trovare qualcosa di meglio dell’acido salicilico – un estratto della corteccia di salice – qualcosa di meno dannoso per il suo povero stomaco. Non sappiamo quante altre volte la devozione filiale abbia inciso così tanto su un fatturato aziendale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here