Che business il no-profit

    Il mondo intero è entrato nell’era delle Organizzazioni non governative: la globalizzazione e i nuovi sistemi di comunicazione hanno favorito la nascita di migliaia di organizzazioni che operano in forma transnazionale, sostituendosi spesso allo Stato. Il no-profit s’è convertito a tal punto in un buon affare che molte Ong vengono create semplicemente per ottenere fondi. Una volta “risolta” la causa per la quale erano nate, cercano nuovi finanziamenti e lanciano una nuova campagna. Secondo l’Università Johns Hopkins di Baltimora, le cinquemila organizzazioni senza scopo di lucro che esistono oggi nel mondo danno lavoro a 29 milioni di persone e occupano l’ottavo posto tra le economie più importanti, superando Brasile, Russia, Canada e Spagna.

    Le Ong gestiscono il 67 per cento degli aiuti umanitari stanziati annualmente dall’Unione europea e il 56 per cento dei fondi erogati dagli Stati Uniti: un capitale superiore a quello della Banca mondiale. Secondo The Economist, solo nel 1997 il no-profit ha ricevuto 6 miliardi di dollari in donazioni. La maggior parte degli aiuti internazionali che si muovono in caso di disastri vengono infatti canalizzati attraverso Ong – più che per mezzo di governi – perché garantiscono una migliore e più trasparente amministrazione dei fondi. Solo in Kenya, per esempio, operano 240 Ong sovvenzionate per lo più dagli Usa e da governi europei. “La maggior parte delle organizzazioni non governative che lavorano in Africa sono straniere. Arrivano in tempo di guerra, compiono azioni a breve termine e ripartono per nuovi territori da salvare ”, afferma il politologo Erik Lair, dell’Universidad de Los Andes di Bogotà. Poi continua: “In molti casi le Ong hanno aiutato a superare conflitti e avviare la ricostruzione nazionale. In Centroamerica, per esempio, il terzo settore ha favorito il ritorno degli esuli della guerra civile mentre in Mozambico ha contribuito alla ricostruzione del paese”.

    Un altro esempio di ricostruzione portata a termine da organizzazioni non governative, è la città colombiana d’Armenia, rasa al suolo da un terribile terremoto nel gennaio del 1999. Ancora oggi, a più di un anno e mezzo dal sisma, 32 Ong operano nella zona gestendo i duemila miliardi di lire destinati alla ricostruzione. Anche la maggior parte dei capitali “anti-droga” statunitensi che arriveranno a Bogotà col noto Plan Colombia saranno gestiti dal terzo settore. L’efficienza delle Ong è tale che perfino nei paesi industrializzati si sta affermando sempre più la tendenza dei governi ad affidare loro lo sviluppo di alcune politiche pubbliche. Negli Stati Uniti, per esempio, nessun programma statale teso a risolvere problemi sociali ha prodotto risultati visibili. In compenso, le organizzazioni non governative hanno ottenuto notevoli successi perché operano in modo più economico e con maggiore efficienza.

    Secondo lo studio della Johns Hopkins, il “paradiso” delle Ong è la Colombia dove si concentra il 35 per cento delle organizzazioni che operano in America latina. Il 30 per cento dei colombiani impiegati nel settore pubblico lavora nel no-profit che nel 1997 ha gestito, solamente in spese d’operazioni, l’equivalente al due per cento del prodotto interno lordo. Si tratta di cifre dieci volte superiori a quello che il governo di Bogotà stanzia annualmente per la salute pubblica. Ciò nonostante, molti ritengono che il capitale speso dal terzo settore in costi di gestione sia di molto inferiore a quello della burocrazia statale.

    Sono le Ong a farsi carico dell’assistenza al circa milione di desplazados (sradicati) che vivono ai margini delle disumane metropoli colombiane, fuggiti dalle loro case per sfuggire alla guerra civile che insanguina il paese. Per questi bambini, anziani e donne vedove lo Stato non esiste e l’unico aiuto, nel vano tentativo di trovare un lavoro, un tetto ed assistenza sanitaria in città, viene loro da queste organizzazioni.

    Ma la cosa potrebbe rivelarsi paradossalmente un boomerang: lo Stato si comporta come una Ong e le Ong giocano il ruolo dello Stato trasformandosi in un effettivo meccanismo di partecipazione politica dei cittadini. Secondo lo storico francese Daniel Pecaut: “In Colombia si corre il rischio che il terzo settore contribuisca a una maggiore delegittimazione dello Stato, privandolo di quella poca credibilità che ancora gli resta. Se le istituzioni non saranno in grado di rafforzarsi e il no-profit continuerà a crescere coi ritmi attuali la società colombiana potrebbe frammentarsi più di quanto non lo sia già”.

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