Categorie: Salute

Che cos’è la medicina narrativa

“Troppo curare, troppo poco prendersi cura”: la lunga lista del disagio dei pazienti nella loro relazione con i medici può essere riassunta in questa breve considerazione. Le ragioni per cui il malato si sente tras- curato, e le possibili soluzioni, sono messe in evidenza dagli autori di questo volumetto, esperti in comunicazione e narratologia come Stefano Calabrese e Valentina Conti, e la psicologa Chiara Fioretti.

I tre volti della malattia

Al centro della comune pratica medica la malattia può essere vista in tre modi diversi: come una disfunzione organica che ne condiziona il decorso (disease), come una condizione personale (illness) e come un fatto sociale (sickness).

Nel primo caso, i dati scientifici e i risultati delle analisi sono sufficienti a guidare l’interpretazione del medico e determinare la scelta della cura (disease), ma la persona del paziente, l’esperienza soggettiva della malattia (illness) non vengono presi molto in considerazione. Già dalla seconda metà del Novecento, tuttavia, singoli medici talvolta responsabili di gruppi di lavoro (come il Gruppo Balint) hanno provato a sviluppare metodologie di intervento clinico-assistenziale basate sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nella terapia. Nasce così la medicina narrativa, che valuta gli aspetti soggettivi della sofferenza (illness) e sviluppa nuove competenze comunicative tra medico e paziente, per realizzare obiettivi clinici mirati e costruire insieme un percorso terapeutico personalizzato.

L’ascolto che non c’è

Per essere utilizzabile, però, la narrazione del malato deve essere costruita con criteri efficaci, e il medico deve sia saper ascoltare sia saper interpretare le informazioni ricevute. Di solito, nella realtà di una “visita” il tempo a disposizione è molto scarso: il professionista interrompe il racconto dopo 19 o 23 secondi e non ascolta le opinioni soggettive. Per questo può ricavare dal dialogo solo informazioni imprecise e frammentarie. Studi condotti alla fine del secolo scorso hanno messo in evidenza che in realtà il paziente conclude la sua narrazione in circa 92 secondi. Il curante potrebbe quindi dedicare all’ascolto solo poco di più del suo tempo raccogliendo elementi importanti per la sua diagnosi.

Raccontare per condividere

Ma con la medicina narrativa, il privato diventa sociale. Il bisogno di parlare della propria malattia e di condividerlo con chi ha avuto analoghe esperienze di sofferenza, aveva iniziato a svilupparsi peer to peer nei social accomunando persone che pur senza conoscersi confrontavano le loro storie.

Grazie alla Conferenza di consenso svolta a Roma nel 2014 , si sviluppa anche in Italia la medicina narrativa che considera l’esposizione del proprio caso da parte del paziente come parte della cura. Bisogna però aiutare i malati ad esprimere le proprie sofferenze, imparando a parlare della propria malattia, della sua origine e del suo sviluppo, trasformando il proprio vissuto in una storia. I retelling terapeutici riescono gradualmente a dare una forma e una sequenza temporale ai ricordi dei malati e a scegliere quelli significativi rispettando le quattro componenti narrative della story grammar: il setting, il personaggio, il conflitto, la relazione. La narrazione così impostata rende più facile il distacco dai momenti traumatici, per esempio dalle violenze subite, e permette di diventare più consapevoli del decorso della malattia stessa, attivando un recupero sia sul piano cognitivo che su quello emotivo.

Storytelling digitale

Oggi, grazie alla Digital Narrative Medicine l’esigenza di porre un legame tra malattia e narrazione può disporre di mezzi e competenze molto più strutturate ed efficaci: lo sviluppo di nuove tecnologie permette al paziente di esprimersi e comunicare attraverso video, musica, disegni, filmati, animazioni.

Al tempo stesso si sviluppano altre tecnologie interattive (e-health) che comprendono strumenti terapeutici diagnostici ed analitici e nuovi sistemi informativi a supporto della salute e dell’assistenza sanitaria. Questi dovrebbero integrare e migliorare i modelli terapeutici esistenti contribuendo ad una maggiore equità sanitaria, compresa l’uguaglianza di genere.

Se la narrazione digitale ha veramente aiutato moltissime persone, anche affette da malattie neurologiche, ad innescare ricordi e a comunicare qualcosa ai propri cari, restano sempre importanti i problemi interpretativi: medico e paziente parlano ancora due linguaggi diversi, ed è necessario tanto un processo ermeneutico da parte dei curanti quanto una maggiore competenza narrativa nello storytelling del paziente.

Gli Autori concludono questo saggio (denso di termini specifici in lingua inglese) riportando alcune interessanti esperienze svolte all’estero. Queste dimostrano l’importanza di guidare la narrazione , per esempio, con un organizzatore grafico, che faciliti in bambini e adolescenti il ripristino della memoria traumatica . La costruzione di uno story board può trasformare una sequenza di ricordi giustapposti in modo sconnesso in una sceneggiatura unificata e lineare, e i nuovi strumenti comunicativi, via via sviluppati dalla medicina narrativa, si propongono come aiuto “sociale”

Il libro

Stefano Calabrese, Valentina Conti, Chiara Fioretti
Che cos’è la medicina narrativa
Carocci Editore, Bussole, 2022
pp. 126, € 13,00

Foto di Max da Pixabay

Marina Bidetti

Giornalista e cofondatrice di Galileo servizi editoriali

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