Check-in con lo scanner

    Ansia, paura e panico hanno allontanato centinaia di migliaia di persone dagli aeroporti. Decretando così il fallimento di alcune compagnie aree e la crisi di molte altre. D’altronde chi ha volato dopo l’11 settembre scorso lo ha fatto solo per lavoro o per ragioni di estrema importanza. La risposta alle ansie collettive in materia di sicurezza aeroportuale può venire dalla biometrica, ovvero la misurazione delle caratteristiche biologiche di una persona. L’esempio più famoso e ormai entrato nella vita quotidiana è il riconoscimento delle impronte digitali, ma già altri metodi biometrici si stanno diffondendo in numerosi aeroporti, come il riconoscimento della geometria del palmo della mano, la scansione facciale e quella dell’iride. Tutti dati che possono essere facilmente immagazzinati in un computer, ma soprattutto che identificano una persona senza che questa possa falsificare le proprie caratteristiche oppure passarle a un secondo individuo.

    Negli aeroporti statunitensi di Los Angeles, il Jfk di New York, San Francisco e altri ancora, sono già in funzione sistemi automatizzati che scansionano il palmo della mano. Il programma si chiama Inspass (INS Passenger Accelerated Service System), e finora è stato utilizzato per snellire e velocizzare il passaggio alla dogana dei “frequent travellers”, persone che per lavoro viaggiano spesso negli Stati Uniti. Ecco come funziona: una prima scansione della mano viene immagazzinata dal computer come riferimento. Al viaggiatore viene poi fornita una carta magnetica con i dati riguardanti la sua identità. A questo punto l’individuo, ogni volta che passa dal check-point specifico, non deve far altro che inserire la carta magnetica e appoggiare la propria mano sull’apposito lettore. Il computer usa i dati personali registrati sulla carta magnetica per recuperare la scansione di riferimento e confrontarla con quella fatta al momento. Se le due coincidono, il viaggiatore viene lasciato passare. Questo tipo di sistema biometrico svolge la funzione di verificazione, ovvero controlla che la persona in questione sia effettivamente chi dice di essere. Non risolve però il problema principale per la sicurezza: l’identificazione. Per esempio, nel caso degli attentati americani, tutti i dirottatori viaggiavano col proprio nome e i propri passaporti. Dunque la verifica dell’identità sarebbe stata positiva, il problema in quel caso doveva essere in effetti identificare tali individui come potenziali terroristi (pare che almeno un paio fossero già da qualche tempo su una “watch list” dell’Fbi).

    Più affidabili da questo punto di vista sembrano essere altri due metodi biometrici: la scansione dell’iride e della faccia. La prima è in uso in svariate prigioni statunitensi per identificare i carcerati e le guardie, e riconoscere i visitatori ammissibili. La seconda è l’unico sistema biometrico che può essere usato all’insaputa dell’utente. Tra le prime aziende al mondo a fornire questa tecnologia è l’americana Visionics. Il software, chiamato FaceIt, è in grado di individuare un volto presente nel suo database anche da una certa distanza. Riesce a estrapolare la faccia dallo sfondo, ridimensionarla e in caso di necessità ruotarla e riposizionarla fino a poterla confrontare coi dati immagazzinati e ottenere così l’identificazione. Ma quello che rende il programma ancor più utile è la sua capacità di estrapolare informazioni intrinseche al volto mediante un sofisticato programma matematico. Riconoscendo così una persona non solo dalla posa o dall’espressione, ma anche dalla pettinatura, dall’abbronzatura, dal grado di rasatura o addirittura perfino qualora indossasse degli occhiali.

    Ma perché questa tecnologia non è stata utilizzata per evitare la strage dell’11 settembre? Doversi sottoporre a una scansione facciale o di qualunque altro tipo pone grosse questioni di invasione della privacy individuale. I criteri di legittimazione di queste “invasioni” saranno sicuramente rivisti alla luce degli ultimi eventi e probabilmente adesso molte più persone saranno disposte a scendere a un compromesso.

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