Civili in trappola

È sempre più drammatica la situazione delle decine di migliaia di civili incastrati tra l’esercito e gli ultimi gruppi ribelli rimasti nello Sri Lanka. Come riporta il British Medical Journal, man mano che lo scontro entra nelle fasi finali, le organizzazioni umanitarie esprimono crescente preoccupazione per la sorte dei cingalesi usati come scudi umani dalle Tigri Tamil e bombardati ininterrottamente dalle truppe nazionali.

Fuggire è diventato molto difficile. Negli scorsi mesi 250mila persone sono scappate dai combattimenti, ma entrambe le fazioni adesso costringono con la forza la popolazione a rimanere. “Chi tenta di lasciare la zona del conflitto”, ha raccontato Sam Zafiri, direttore di Amnesty International Asia, viene internato in campi di concentramento, dove non è consentito l’accesso agli operatori umanitari stranieri”. I ribelli invece considerano i civili la loro unica protezione dagli attacchi dell’esercito.

La presenza di civili, di donne e bambini, di feriti non è stata però fino a oggi un deterrente sufficiente a trattenere l’esercito, e lo dimostrano centinaia di morti. Un ospedale di fortuna che dava ospitalità ai feriti in un territorio teoricamente zona franca, è stato chiuso lo scorso 14 maggio perché diventato oggetto di continui raid delle forze armate e troppo pericoloso per il personale sanitario.

 “Centinaia di pazienti seriamente feriti e ammalati intrappolati nella zona dello scontro hanno aspettato in vano per giorni medicinali e materiale medico estremamente necessario” ha dichiarato la croce rossa, dopo che una sua nave, ancorata a pochi chilometri di distanza, non è riuscita ad evacuare i feriti a causa dei combattimenti.

“Il nostro staff è stato testimone di una catastrofe umanitaria inimmaginabile, i civili sono lasciati al loro destino” ha dichiarato il direttore delle operazioni Pierre Krähenbhül. “Attaccare le strutture sanitarie è severamente proibito dalle leggi internazionali”, ha aggiunto il portavoce dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, Rupert Colville. (c.v.)

Riferimenti: BMJ doi:10.1136/bmj.b2051

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