Compromessi embrionali

Un passo indietro e uno avanti. Per tornare al punto di partenza. È quello che è successo in sede europea con la questione del finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Il compromesso che ha portato il Consiglio europeo sulla Competitività ad accogliere, lo scorso 24 luglio, la proposta della Commissione in materia ripropone per il 7° programma quadro gli stessi limiti del 6°, approvato nel 2003. “Eppure il voto del Consiglio deve essere considerato un passo avanti”, afferma Pasqualina Napolitano, vice presidente del gruppo socialista al Parlamento Europeo.

Onorevole Napolitano, in che senso un passo avanti?

“La dichiarazione etica che alcuni paesi, fra cui l’Italia, avevano sottoscritto poneva un veto a qualsiasi tipo di ricerca sulle embrionali. E se quella minoranza di blocco non fosse venuta meno il 7° programma quadro non avrebbe potuto includere la ricerca sulle cellule embrionali fra le aree da finanziare. Il fatto che ora si possa, seppur con dei limiti, è quindi un successo per chi ha a cuore la ricerca”.

Il compromesso raggiunto non è un po’ “ipocrita”?

“E’ lo stesso che vigeva prima: è possibile lavorare su linee di cellule staminali embrionali già esistenti ma non distruggere embrioni per produrre cellule staminali da studiare. I progetti prima di essere finanziati dovranno passare al vaglio di un selezione rigorosa, ma questo è sempre stato fatto. Basti pensare che nell’ambito del 6° programma quadro sono stati finanziati 80 progetti sulle staminali, di cui solo 8 su staminali embrionali”.

In autunno il testo dovrà passare di nuovo al Parlamento europeo, cosa potrebbe succedere?

“La posizione del Parlamento europeo è più aperta rispetto a quella del Consiglio, ed è favorevole al finanziamento di progetti che prevedano l’impiego di cellule staminali embrionali prodotte anche in Europa a partire da embrioni sovrannumerari. E proprio su questo potrebbe aprirsi una mediazione: se in seconda lettura il Parlamento dovesse confermare la sua posizione si andrebbe alla conciliazione dove, per esempio, si potrebbe trovare un compromesso e indicare una data dopo la quale non sia più possibile usare gli embrioni sovrannumerari per produrre linee cellulari. Ma che lascerebbe la possibilità di usare quelli prodotti prima di quel momento. Insomma, è stata sconfitta l’idea che l’embrione non si possa toccare tout cour”.

Staminali a parte, esistono altri punti critici che potrebbero portare a un rallentamento dell’approvazione del programma?

“No, sugli altri punti c’è una sostanziale convergenza di tutti i paesi. E se si pensa che il finanziamento sulle staminali rappresenta l’1 per cento del totale (circa 50 miliardi di euro) è sicuramente un dato positivo. Un settore che suscita pareri controversi è la ricerca sul nucleare ma, nonostante le diverse idee, tutti sono concordi nel dover finanziare ulteriori progetti di ricerca in questo campo. Anche paesi come l’Italia, che non considerano il nucleare una risposta immediata alla crisi del petrolio, pensano sia importante finanziare questa ricerca: come nel caso delle cellule staminali embrionali, non possiamo precluderci a priori, in maniera ideologica, strade che invece potrebbero portare benefici per tutti. Se in futuro saranno risolti i problemi tuttora esistenti in materia di smaltimento delle scorie e sicurezza degli impianti, anche i paesi che oggi non producono nucleare potrebbero pensare a farlo. Ma il problema dell’energia a livello europeo non si esaurisce certo solo con questa questione”.

A che cosa si riferisce?

“Alle altre forme di energia. Prima fra tutte l’idrogeno, a cui il 7°FP dedica attenzione. E poi il solare, l’eolico, il fotovoltaico. Ci sono paesi, come la Germania, che hanno investito molto, e molto hanno ricevuto dai programmi europei precedenti, per fare ricerca in questi campi. Conquistando oggi una posizione di primo piano in Europa”.

Quali sono le nazioni più attive sul fronte delle richieste di finanziamento per i progetti di ricerca?

“La Germania, come ho detto, e poi la Francia, molto forte nel campo dell’areospazio, e infine la Gran Bretagna. Negli ultimi anni la Spagna si è fatta strada fra le grandi. L’Italia resta purtroppo ancora molto lontana. Con il risultato che investiamo nel programma di finanziamento alla ricerca europeo più risorse di quante ne riusciamo a portare a casa”.

Come mai?

“Prima di tutto perché le nostre imprese sono piccole, a volte anche piccolissime, e non riescono a fare massa critica per poter presentare progetti competitivi con gli altri paesi. Ma l’attenzione alle piccole e medie imprese da parte dell’Unione è sempre maggiore: all’interno del nuovo programma quadro la fetta di finanziamenti dedicati alla ricerca applicata è davvero ingente. Un’occasione che dovrebbe essere sfruttata”.

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