A 58 anni dall’esplosione della bomba atomica a Hiroshima, “testimoni silenziosi” hanno confermato i dati sull’esposizione alle radiazioni dei sopravvissuti. A metà degli anni Ottanta, infatti, uno studio aveva messo in dubbio le stime dell’immediato dopoguerra affermando una minore pericolosità delle radiazioni. Ora invece un gruppo interuniversitario di ricercatori tedeschi ha confermato su Nature quelle stime, analizzando campioni di rame di varia provenienza, che portavano le tracce dell’irradiazione. L’esplosione nucleare produsse infatti due tipi di radiazioni, i raggi gamma e i cosiddetti neutroni veloci (più pesanti e quindi più dannosi per il tessuto cellulare). Mentre i primi è relativamente facile misurarli, la quantità di neutroni veloci emessa è più difficile da stimare. E qui entrano in gioco i campioni recuperati dai ricercatori tedeschi: quando il rame viene colpito dai neutroni veloci, si produce un raro isotopo del nichel, Ni63. La quantità di questo isotopo rilevata nei pezzi di rame (recuperati per esempio dai cavi elettrici e dai parafulmini) ha fornito la prima registrazione precisa della dose di neutroni veloci cui sono stati esposti i sopravvissuti. È una conferma particolarmente importante per il calcolo del rischio di esposizione alle radiazioni: se la quantità di neutroni veloci calcolata nell’immediato dopoguerra si fosse rivelata errata, le norme di sicurezza in medicina e nell’industria nucleare avrebbero dovuto essere riviste. (m.mo.)
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