Conto alla rovescia per i microrazzi

    Tecnicamente sono microsistemi elettromeccanici fatti di metallo e silicio. Nella pratica sono veri e propri razzi in miniatura, non più grandi di una monetina, che i loro costruttori chiamano affettuosamente Mems (Micro electromechanical system). Nascono in alcuni laboratori statunitensi, dove i ricercatori stanno mettendo a punto micropropulsori capaci di portare sulle nostre teste una nuova generazione di satelliti piccoli ed economici. E grazie alla stessa tecnologia, quelli che oggi sono satelliti spia potrebbero avere dimensioni paragonabili a quelle di un granello di polvere.

    Il progetto più ambizioso ha sede al Dipartimento di aeronautica e astronautica del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston. Con il supporto della Nasa e sotto la guida di Alan Epstein, gli ingegneri stanno costruendo microrazzi in grado di funzionare più o meno come i motori dello Space shuttle. Permetteranno di lanciare in orbita satelliti non più grandi di una lattina di birra che avranno il compito di monitorare dallo spazio il nostro pianeta.

    La caratteristica fondamentale di un motore è la forza propulsiva che esso genera in rapporto al proprio peso. Più è alto questo rapporto, più efficiente è il motore. Il motore principale dello Space shuttle ha un rapporto pari a 70 unità. I microrazzi costruiti al Mit hanno già superato il valore di 85 unità ma si stima che le attuali prestazioni possano essere migliorate almeno di dieci volte, quanto basta per lanciare un satellite nello spazio.

    Il primo microrazzo sarà operativo verso la fine del 2003. L’obiettivo a più breve scadenza invece è la realizzazione, entro settembre, di una microturbina. Simile a un ventilatore, si tratta di una componente fondamentale che inietterà il carburante ad alta pressione all’interno della camera di combustione del razzo. La microturbina avrà il compito di miniaturizzare l’equipaggiamento che al momento occupa un’intera stanza. Ma, anche quella in fase di costruzione sarà significativamente più grande del razzo e l’integrazione fra le due componenti resta un traguardo ancora lontano.

    A Berkeley, nel frattempo, gli ingegneri dell’Università della California hanno già fatto decollare vettori Mems dalle ambizioni più modeste ma degni di altrettanto interesse. I dispositivi ideati a Berkeley sono grandi la metà di quelli del Mit e hanno un rapporto tra forza propulsiva e peso pari a cinque unità. L’obiettivo è quello di realizzare sensori elettronici di pochi millimetri in grado di sollevarsi da terra e spostarsi in lungo e in largo su aree difficili da raggiungere, come i campi di battaglia, per spiare le truppe nemiche.

    Schiere di questi dispositivi andrebbero a costituire una sorta di “polvere intelligente” che, raggiungendo la quota di alcune decine di metri e lasciandosi trasportare dalle correnti, potrebbe essere impiegata per tenere costantemente sotto controllo i complessi e imprevedibili sistemi atmosferici. I prototipi realizzati finora assomigliano a microscopici wafer di silicio, una forma che consente di sfruttare l’energia solare per sostenere le funzioni di monitoraggio, elaborazione e trasmissione dei dati raccolti. Per il momento questi dispositivi non riescono a sollevarsi a più di tre metri da terra, ma teoricamente potranno raggiungere una quota di 50 metri. E allora dovremo fare attenzione a spolverare con cura i mobili di casa: fra la polvere, oltre agli acari, potrebbero nascondersi occhi indiscreti.

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