Categorie: Salute

Conversando con Laborit

Claude Grenié
Conversazioni con Henri Laborit
Elèuthera, Milano, 1997
pp. 211, Lit. 25.000

Queste conversazioni con Henri Laborit si svolgono a La Ronde, in Vandea. A porre le domande è Claude Grenié, suo convinto estimatore. Lo scienziato francese racconta la storia della sua vita e delle sue prestigiose ricerche. Allo stesso tempo, si delinea nel dialogo l’evoluzione dei suoi interessi: chirurgo, biologo e studioso del comportamento;e la sua figura di scienziato: anarchico, intelligente, e non poco narcisista.

Dopo i lunghi anni passati come medico militare nelle colonie francesi in Africa e in Indocina, Laborit riesce finalmente ad avere un laboratorio di ricerche tutto suo. Affascinato dalle concezioni sistemiche di Korzybski (i cui libri – dichiara – erano troppo ostici, troppo matematici per lui), scopre nella semantica generale i principi essenziali della sua ricerca. Si occupa quindi, da medico, dei sistemi di regolazione del vivente, modellizzandolo come un sistema gerarchico capace di funzionare attraverso la cooperazione di più livelli strutturali interconnessi. Queste idee globalistiche si oppongono radicalmente alla abituale pratica chirurgica dell’epoca, fondata sull’analisi parcellizzata del malato e su interventi mirati a eliminare le cause dei suoi disturbi. I tentativi di prevenire o attenuare gli stress post-operatori portano Laborit ad occuparsi dei farmaci usati nelle anestesie, avviando ricerche che portarono alla scoperta del Largactil.

La proprietà di questo farmaco gli venne contestata perché non disponeva dei brevetti legali: di conseguenza – racconta – cominciò a brevettare a suo nome una varietà di molecole tuttora non sfruttate economicamente. Dallo stress all’introduzione dei tranquillanti in psichiatria, dopo aver scoperto e praticato l’ibernazione artificiale per rendere possibile inteventi chirurgici più lunghi, Laborit inizia a sviluppare studi sul comportamento animale e umano (il film di Resnais, “Mon oncle d’Amerique” si ispira proprio alle sue teorie sociobiologiche). Teorizza “l’inibizione dell’azione” come causa dominante di vari disturbi, da quelli immunologici a quelli psichiatrici fino all’invecchiamento (le prime ricerche sugli effetti dannosi dei cosiddetti radicali liberi sono le sue).

Biologia e sociologia sono strettamente intrecciate e Laborit riconosce in molte patologie del funzionamento dell’organismo la “inibizione dell’azione” che consegue a una vita sociale frustrante. Sviluppando questi argomenti Laborit si dichiara guidato dall’esigenza di svincolare il pensiero medico da rigidi vincoli di casualità lineare e di aprirlo invece a concezioni di tipo sistemico. Uno degli slogan di Laborit sostiene che “un elevato piacere può derivare dal funzionamento di cervello capace di immaginare” e certo la sua vita e la sua ricerca testimoniano sia il suo piacere sia la sua capacità di immaginare. Ci si domanda, tuttavia, se oggi sarebbe ancora possibile sviluppare in maniera così creativamente anarchica delle ricerche in medicina o in biologia e se i vincoli legislativi, economici e burocratici a cui oggi sono sottoposte sono da considerarsi soltanto un limite oppure una necessaria garanzia.

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