“Il mio continente deve svegliarsi, abbiamo visto cosa è successo negli altri paesi e continenti”. Sono le parole del direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus durante l’ultimo briefing su Covid-19. Ghebreyesus, etiope, riassume in una frase quello che tantissimi tra esperti e autorità ripetono da tempo: l’Africa deve prepararsi al peggio.
A oggi i paesi africani con casi confermati di Covid-19 sono 34, 635 i casi confermati, 15 i decessi. Pochi, se guardiamo ai numeri dei focolai epidemici sparsi nel resto del mondo (Italia in testa), e soprattutto di importazione. Ma la situazione potrebbe cambiare molto velocemente.
E infatti solo qualche giorno fa il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha parlato alla nazione, dichiarando lo stato di emergenza, dopo che nel paese in 10 giorni sono stati accertati 61 casi, e i numeri continuano a salire. Questo, sostengono le autorità, significa che il nuovo coronavirus ha iniziato a circolare tra la popolazione.
Quando arriverà l’ondata in Africa? Come si comporterà Sars-Cov-2 in questo continente in cui vive circa un miliardo di persone? Gli esperti non sanno rispondere.
Sebbene la popolazione africana sia giovanissima e quindi in teoria potrebbe reggere meglio l’ondata dell’epidemia di Covid-19, le difficoltà sanitarie a cui i paesi africani andranno incontro sono tantissime. Se è vero che l’età media è di 20 anni e che solo il 3% della popolazione sub-sahariana supera i 65, è vero anche che la piaga dell’Aids espone a maggiori rischi.
Qualcuno spera che le temperature più elevate frenino la corsa del virus, ma la comunità scientifica non sa ancora se Sars-Cov-2 si rivelerà stagionale e non ci si può fare affidamento.
Il problema è che i sistemi sanitari sono deboli: non ci sono strutture, non ci sono risorse per curare chi si ammalerà gravemente di Covid-19. Basti pensare – riporta Science Magazine – che un documento del 2015 attesta che in Kenyaesistono solo 130 posti letto in terapia intensiva e circa 200 infermieri specializzati, per 50 milioni di persone. E molti paesi sono in condizioni simili.
Lo screening dei viaggiatori si è rivelato anche in Europa una misura poco efficace. Le maglie della rete sono troppo lasche e non identificano le persone ancora asintomatiche ma infette. I sistemi di sorveglianza influenzale potrebbero consentire di identificare e isolare più velocemente chi sviluppa sintomi simil-influenzali compatibili con le manifestazioni di Covid-19. Tuttavia non è chiaro quanto questi metodi di rilevazione siano attendibili.
Sospendere le manifestazioni sportive, mettere in atto l’isolamento sociale, lavarsi le mani, etc rimangono i consigli dell’Oms, reiterati ancora da Ghebreyesus. Qualche paese, come il Ruanda, li ha già messi in pratica, chiudendo per esempio i luoghi di culto, le scuole, le università. Ma sarà mai possibile attuarli davvero in una regione del mondo in cui spessissimo più nuclei familiari condividono la stessa abitazione, dove nelle metropoli esistono sterminati quartieri sovraffollati e lasciati al degrado, dove non c’è acqua da bere, figuriamoci per lavarsi le mani?
Eppure Ghebreyesus non perde le speranze. La Corea del Sud è un esempio da imitare e l’Oms aiuterà ad adattare le strategieal contesto locale. “Ci sono molte cose che i paesi possono ancora fare”.
Via: Wired.it
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Credit immagine di copertina: Photo by Adrianna Van Groningen on Unsplash
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