Cosa facciamo con gli F-35?

Lo scorso 28 settembre, Galileo ha fatto il punto sul piano da 16 miliardi di euro per l’acquisto da parte del nostro paese di 131 caccia bombardieri F-35 in base al programma internazionale Joint Strike Fighter (Jsf). Di fronte ai tagli imposti dall’ex governo Berlusconi, sembrava più che lecito chiedersi se non fosse opportuno tagliare le spese per l’acquisto di materiale bellico per salvare le casse dello Stato. Oggi il governo Monti affronta la stessa necessità di far quadrare i conti italiani, ma non ha mai preso in considerazione l’idea di rivedere il piano di acquisto degli F-35.

Come si legge su Repubblica, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola avrebbe intenzione di ritoccare i bilanci del suo dicastero operando forti tagli all’organico piuttosto che all’acquisto di nuove armi. La scelta del ministro non sorprende, visto che nel 2002 – come racconta Altraeconomia – fu lo stesso Di Paola, allora Segretario generale della Difesa, a firmare l’accordo per la partecipazione italiana da un miliardo di euro al progetto Jsf.

Leggendo i dettagli dell’accordo siglato nove anni fa, si apprende che ogni paese partecipante al Jsf può abbandonare il progetto pagando una penale. Nel caso dell’Italia, il nostro paese potrebbe tirarsi indietro entro il 2014 rimettendoci solo un miliardo di euro. Inoltre, saremmo esentati dall’acquisto dei 131 caccia visto che questi non sono entrati ancora in produzione. Ma non tutti sono sicuri che la campagna contro gli F-35 avrebbe conseguenze tangibili sui conti pubblici: come spiega l’economista Sandro Brusco (via Il Post), i 16 miliardi di spesa  sono spalmati fino al 2026: in pratica, uscire dal programma Jsf non garantirebbe all’Italia dei vantaggi immediati. Almeno, non sulla manovra attuale. E però, come già aveva ricordato la Fondazione Veronesi, quei denari risparmiati potrebbero trovare certamente altri onorevolissimi impieghi.

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