Cosa sappiamo dell’aereo malese scomparso

Sono passati dodici giorni dalla scomparsa dell’aereo della Malaysia Airlines, il Boeing 777-2H6ER diretto da Kuala Lumpur a Pechino. Da allora i resti – ammettendo che il velivolo non sia mai riuscito ad atterrare segretamente e a far perdere le sue tracce – non sono stati trovati. Questo complica non poco le indagini sulla possibile fine dell’aereo. Infatti, in mancanza di rottami che possano aiutare a chiarire cosa sia successo, le ricerche si concentrano tutte sugli ultimi dati inviati e ricevuti dall’aereo. Ma cosa sappiamo davvero a oggi, a quasi due settimane dalla sua scomparsa?

Gli ultimi contatti con il velivolo
Il volo MH370 della Malaysia Airlines parte dall’aeroporto di Kuala Lumpur alle 00:41 di sabato 8 marzo e sarebbe dovuto arrivare a Pechino alle 6:30. Ma poco dopo il decollo è chiaro che qualcosa non va. Non sono passati che una quarantina di minuti che, senza che sia stato inviato un messaggio di soccorso, l’aereo sparisce dagli schermi che monitorano il traffico aereo. Ma la scomparsa non è improvvisa. Prima infatti viene disabilitato l’Aircraft Communication Addressing and Reporting System (Acars), un sistema di comunicazione che mette in dialogo aereo e stazione a terra. Sono le 1:07. Qualche minuto dopo, alle 1:19, si perde anche il contatto con il transponder, il sistema di comunicazione che tiene traccia dell’aereo attraverso i radar secondari a terra. In questo momento l’aereo si trova nella fase di passaggio dalla zona aerea malesiana a quella vietnamita.

La virata verso ovest
Alle 2:15 l’aereo, malgrado la disattivazione dei sistemi di comunicazione a bordo, viene ancora avvistato. Stavolta però a farlo sono i ben più potenti (rispetto a quelli civili) radar militari. L’avvistamento è ben lontano però dalla rotta prevista per il volo MH370: infatti invece che dirigersi verso nord l’aereo è avvistato a Ovest, in prossimità dello Stretto di Malacca. Anche le ultime comunicazioni con i satelliti confermerebbero l’ipotesi di un cambio di rotta, segnalando un avvistamento lungo i corridoi che portano verso Thailandia e Kazakhstan a nord e Indonesia ed Oceano indiano a Sud. Questa comunicazione sarebbe avvenuta intorno alle 8:11, il che significa che l’aereo sarebbe rimasto in volo per circa sette ore dopo la perdita dei contatti. Le possibili mete raggiungibili in questo intervallo di tempo, nonché i siti dove concentrare le ricerche di eventuali rottami, fanno così allargare notevolmente le zone battute dal velivolo.

Perché si parla di dirottamento
Lo shutdown separato dei due sistemi di comunicazione farebbe pensare ad un’azione manuale e quindi intenzionale. Allo stesso modo della virata verso ovest, verso corridoi aerei conosciuti e non rotte casuali, insieme alla riprogrammazione del piano di volo, operata via computer, rafforzano l’ipotesi di un dirottamento. Le dinamiche farebbero pensare che solo qualcuno con una buona conoscenza di nozioni di aeronautica – come pilota e copilota, Zaharie Ahmed Shahe e Fariq Abdul Hamid – abbia potuto realizzare queste operazioni.

L’equipaggio
Oltre ai 12 membri dell’equipaggio, compresi pilota e copilota, sull’aereo viaggiavano 227 passeggeri, la maggior parte di nazionalità cinese e malese.

Che fine potrebbe aver fatto l’aereo?
In assenza dei resti non possono essere fatte che ipotesi sul destino finale dell’aereo. La Bbc ne stila una decina. Si va dall’atterraggio segreto (difficile ma non impossibile) nelle isole Andamane, a quello nei deserti del Kazakhstan, della Cina o in Pakistan, con tanto di possibile mascheramento del velivolo (non è chiaro dove) per utilizzarlo in successivi attacchi terroristici. Ma nelle ultime ore si parla anche di un’ipotesi considerata più probabile rispetto alle altre, avanzata dall’ex-pilota Chris Goodfellow: lo sviluppo di un incendio a bordo che avrebbe spinto il pilota ad operare delle manovre per raggiungere l’aeroporto più vicino, quello di Pulau Langkawi, la cui localizzazione giustificherebbe anche la riprogrammazione della rotta verso ovest. L’incendio, se sviluppatosi all’interno della cabina, avrebbe infatti spinto pilota e copilota a cercare di capirne l’origine, spegnendo i collegamenti elettrici, compresi quelli dei sistemi di comunicazione. Dopo di che, difronte all’impossibilità di governarlo, la cabina si sarebbe riempita di fumo, e l’aereo avrebbe continuato a volare in modalità automatica (e questo spiegherebbe la rivelazione da parte dei satelliti) fino a esaurire il carburante e schiantarsi.

Via: Wired.it

Credits immagine: griffs0000/Flickr

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