Salute

La perdita del cromosoma Y rende il cancro alla vescica più sensibile all’immunoterapia

Il cromosoma Y è uno dei due cromosomi sessuali, e caratterizza le cellule maschili. Con l’invecchiamento alcune cellule possono perderlo naturalmente, un fenomeno a cui la comunità scientifica si riferisce come “perdita del cromosoma Y”. Per la prima volta uno studio del Cedars-Sinai Cancer, guidato da Dan Theodorescu, e pubblicato su Nature, ha dimostrato la correlazione tra questo carattere e una maggiore aggressività del cancro alla vescica, aiutando anche a capire perché alcuni tumori alla vescica rispondono meglio all’immunoterapia con gli inibitori dei checkpoint immunitari.

La perdita del cromosoma Y

La scoperta che cellule maschili invecchiate possono perdere il cromosoma Y non è nuova. Allo stesso modo la perdita del cromosoma è stata associata a diverse patologie, tumori inclusi, e compreso il tumore alla vescica. Ma cosa significasse dal punto di vista clinico e biologico non era chiaro. Oggi però sappiamo che la perdita di questo cromosoma in un tessuto tumorale implica una maggiore aggressività del tessuto stesso, correlando quindi con prognosi più infelice nel paziente. Al tempo stesso però comprenderlo potrebbe aiutare a ottimizzare le strategie di intervento.

Gli effetti nel cancro alla vescica

I ricercatori hanno studiato nei modelli animali tumori della vescica con o senza il cromosoma Y, osservando come crescevano i tessuti malati. Più un tessuto tumorale prolifera velocemente, infatti, più è aggressivo. Ed è in questo modo che i ricercatori hanno potuto osservare che i i tessuti tumorali in cui il cromosoma Y era assente erano più abili a crescere ma anche ad eludere il sistema immunitario dell’ospite.

In particolare perdita del cromosoma Y conferisce ai tumori una maggiore resistenza all’azione dei linfociti T, soprattutto ai linfociti T citotossici – o CD8+. Al tempo stesso però aumenta la loro sensibilità a una classe di terapie antitumorali, gli inibitori dei checkpoint immunitari. La relazione tumore sistema immunitario fa sì infatti che sulla superficie dei linfociti T compaiano più molecole bersagliate dagli inibitori (le cosiddette proteine PD, programmed cell death, che agiscono come una sorta di freni per il sistema immunitario). Questa maggiore espressione, seppure correlata a un maggior “esaurimento” della capacità citotossica delle cellule, le rendendo anche più sensibili ai trattamenti.

Questo, concludono gli esperti, potrebbe consentire di ottimizzare l’impiego dell’immunoterapia contro i tumori. Quanto osservato infatti conferma anche i dati raccolti nell’uomo: nei pazienti con tumore alla vescica senza cromosoma Y e trattati con inibitori dei checkpoint immunitari la risposta è migliore.

Riferimenti: Nature

Credits immagine: National Cancer Institute su Unsplash

Redazione Galileo

Gli interventi a cura della Redazione di Galileo.

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