Cure agli immigrati, Italia prima in Europa

Per una volta l’Italia guida una classifica di cui andar fieri. Può vantare un provvedimento tra i più avanzati del mondo in materia di politiche sociali. Si tratta dell’articolo 13 del cosiddetto decreto Dini, che sancisce l’accesso gratuito alle cure sanitarie per gli extracomunitari privi del permesso di soggiorno. Il decreto, ripreso da una circolare ministeriale del novembre ‘96, decadrà il 15 febbraio prossimo. Il governo dovrebbe essere in grado nel frattempo di varare una legge organica in materia, o almeno emanare un’ulteriore ordinanza, dalla vita breve. Questo per non far naufragare una normativa all’avanguardia, da molti salutata con entusiasmo, da altri aspramente criticata.

Da poco più di un anno, l’articolo 13 del decreto Dini, varato nel novembre del 1995, estende il diritto all’assistenza medica gratuita anche a molte categorie di immigrati clandestini che hanno bisogno non solo di cure urgenti, ma di assistenza sanitaria continuativa e preventiva. Si tratta dei minori, delle donne (nei casi in cui sia in gioco la “tutela della maternità responsabile e della gravidanza”), degli ammalati di malattie infettive e di coloro che rischiano di contrarle. Tutti gli altri stranieri non in regola possono accedere all’assistenza ambulatoriale e continuativa pagando le tariffe stabilite dalle regioni, o, in condizioni di urgenza, gratuitamente. E tutto questo senza segnalazione da parte delle strutture sanitarie alle forze di polizia.

Si tratta di una piccola rivoluzione. Prima di questo decreto legge, nel nostro paese come ancora in molte nazioni europee, per un immigrato clandestino l’unica porta di accesso all’assistenza sanitaria era quella del Pronto Soccorso. E anche in questo caso, non senza problemi: le spese per un eventuale successivo ricovero gli venivano addebitate, e la sua presenza veniva segnalata alla Prefettura, o alle forze di polizia presenti nell’ospedale.

Eppure, quello che è scritto sulla carta non trova riscontro nella realtà. Vista la discrezionalità con cui la circolare ministeriale viene di fatto recepita dalle strutture sanitarie delle diverse regioni, l’assistenza sanitaria di molti extracomunitari clandestini non è di fatto garantita. Secondo uno studio della Caritas di Roma, che ha verificato l’effettiva attuazione del decreto contattando 5 aziende Usl e 7 ospedali della capitale, oltre alla differenza di interpretazioni hanno giocato “ignoranza della norma e resistenze applicative”. “Inoltre”, fa notare Salvatore Geraci, responsabile dell’Area sanitaria della Caritas romana, “anche l’anonimato non viene rispettato”. Nonostante la circolare preveda che l’ammalato clandestino non debba essere segnalato alla polizia, il passaggio attraverso le Prefetture diventa la norma, visto che il rimborso delle spese dipende dal ministero degli Interni.

Si tratta insomma di un grande passo avanti, che però rischia di restare sospeso in aria. C’è da augurarsi che la legge prossima ventura si presti a minori ambiguità.

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