Dal Dna un vaccino contro l’Aids

Un vaccino per fermare l’Hiv, il virus dell’Aids. Alla sua realizzazione stanno lavorando numerosi laboratori in tutto il mondo, ma finora i risultati sono stati insoddisfacenti. Tuttavia, la possibilità di fabbricare vaccini con l’aiuto dell’ingegneria genetica sembra aprire nuove speranze: lo dimostrano alcuni studiosi del Medical Center dell’Università della Pennsylvania, che sono riusciti a ottenere un vaccino con Dna virale capace di proteggere alcuni scimpanzé contro massicce dosi di Hiv-1 (virus che causa l’infezione nell’uomo e in alcuni primati).

Per la messa a punto del nuovo vaccino, i ricercatori americani – il cui lavoro è stato pubblicato sul numero di maggio di Nature Medicine – hanno inserito in un plasmide (particella presente nel citoplasma di molti batteri spesso utilizzata come vettore dai biotecnologi), i geni dell’Hiv allo scopo di stimolare la risposta immunitaria. Quindi hanno iniettato per via intramuscolare il plasmide modificato insieme all’anestetico locale bupivacaina a tre scimpanzé. A un quarto animale è stata somministrata una preparazione identica, ma priva del materiale genetico dell’Hiv. Gli scimpanzé immunizzati e quello di controllo sono stati esposti 250 volte circa al virus, un’esposizione considerata sufficiente a sviluppare l’infezione.

Gli animali sono stati quindi monitorati per 48 settimane. Con i normali test di controllo utilizzati sull’uomo, in grado di rilevare poco meno di 500 copie di particelle virali per millilitro di sangue, gli scienziati non sono riusciti a trovare tracce del virus nei due animali immunizzati, mentre lo scimpanzé di controllo presentava circa 10 mila copie di virus per millilitro di sangue. Con un test di laboratorio più raffinato, che può rilevare fino a 50 copie di virus per millilitro, i due animali protetti risultavano positivi alla sesta e all’ottava settimana, per poi riconvertirsi in Hiv-negativi. “Il prodotto del vaccino genetico può mimare i meccanismi innescati dai vaccini realizzati con particelle virali attenuate, ma senza il rischio ad essi associati di una potenziale replicazione patogenica”, scrivono gli studiosi.

Se un virus infetta la cellula e comincia a replicarsi, “il sistema immunitario, basato su una sorta di memoria stimolata dal vaccino, risponde all’infezione, distruggendo la cellula infettata e il virus”, spiega David B. Weiner, uno degli autori della ricerca. “Qualcosa di simile provoca il nostro vaccino: rimane, è vero, il rischio di una limitata replicazione, che però il sistema immunitario è in grado di controllare. Certo” aggiunge “dovremo ancora aspettare prima di sapere se questo sarà o non sarà un vaccino contro l’Hiv. Tuttavia, i risultati ci spinge ad andare oltre nello studio di una simile tecnologia, che sarà sempre di più applicata anche nel trattamento di altre malattie”.

La ricerca americana può vantare il sostegno dello Strategic Program for Innovative Research on Aids Treatment (Spirat), garantito dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), uno dei prestigiosi National Institutes of Health (Nih) di Bethesda Ma questo non basta per convincere i più scettici, che hanno visto negli ultimi dieci anni tanti tentativi di vaccini anti-Aids, sperimentati in vitro e su modelli animali, fallire sull’uomo. “Sebbene ancora nessuno può dire se l’immunità ottenuta sia completa, certamente il dato sulla quantità virale degli scimpanzé inoculati rispetto a quello di controllo è suggestivo e potrebbe effettivamente aprire una strada per la prevenzione della malattia”, scrive su Nature Medicine Ronald C. Kennedy, immunologo dell’Health Sciences Center dell’Universita’ di Oklahoma City. “Ciononostante molte domande non hanno ancora risposta”. Perchè – si chiede Kennedy – questo risultato contraddice quello ottenuto con un vaccino a Dna sperimentato con il virus che causa l’infezione nelle scimmie (il virus Siv)? In uno studio su macachi, infatti, “nessuna protezione è stata riportata tra i primati immunizzati”. La discrepanza potrebbe spiegarsi con un diverso metodo di preparazione del vaccino? “L’approccio degli americani sembra promettente”, ammette Kennedy, ma “sollecita nuove investigazioni”.

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