Dalla naftalina al Web

Frequentati da pochi appassionati, con scarsi finanziamenti statali, e soprattutto con una dotazione tecnica che risale all’età della pietra. Sono i musei scientifici italiani nel quadro che emerge da un’indagine su 469 musei finanziata dal Ministero dei Beni culturali e svolta dall’Istituto di studi sulla ricerca e documentazione scientifica del Consiglio nazionale delle ricerche.

Ecco, in sintesi, il risultato della ricerca: il 40 per cento dei musei contattati è visitato da meno di 2 mila persone l’anno; la metà riceve finanziamenti pubblici che non superano i 50 milioni; il 41 per cento non si avvale di personale dipendente, ma solo di ricercatori e collaboratori estemporanei, che nel 77 per cento dei casi non superano le tre unità. Non solo. Pochi e saltuari risultano i collegamenti con il resto dell’attività culturale e sociale; quasi assente qualsiasi operazione di merchandising: l’80 per cento dei musei non offre infatti nessun tipo di servizio aggiuntivo, quindi niente ristorante, bar, librerie o negozi che vendano gadget e souvenir.

Ancora più preoccupante il resoconto del Cnr sulle strutture informatiche: solo un museo su due possiede un personal computer, e l’83 per cento non ha ancora allestito un sito Internet. Potrebbe sembrare solo una questione di tempo. E invece buona parte dei direttori interpellati non ha alcuna intenzione di realizzare una pagina Web con le tutte informazioni relative alla struttura, né tantomeno una casella di posta elettronica. Eppure proprio il circuito telematico potrebbe essere la via preferenziale per ringiovanire i musei italiani.

Per fortuna, qualcosa in questa direzione sembra muoversi. Ne è un esempio il Museum Mediator, il sito che dovrebbe entrare in funzione nei prossimi mesi, e che ha lo scopo di mettere in comunicazione 50 dei più importanti musei italiani attraverso le loro pagine web. Museum Mediator sarà una sorta di “sito dei siti” che si aggiornerà automaticamente presentando le novità on line proposte dai singoli musei e una descrizione delle particolarità e dei servizi principali offerti da ciascuno. L’iniziativa digitale, presentata al pubblico lo scorso 25 giugno a Roma, nel corso di una giornata di studi su ricerca e innovazione nei musei in Italia, non coinvolgerà soltanto il settore scientifico, ma anche musei storici, d’arte o di archeologia.

Si tratta di un passo importante, quasi di una svolta, per un settore che stando ai numeri è così refrattario alle innovazioni e che stenta a decollare tra il grande pubblico. L’iniziativa potrebbe infatti servire da stimolo per tutti quei musei ancora non informatizzati, e che dovrebbero sentire l’esigenza di aderire per non essere esclusi dal grande circuito.

Secondo Luigi Campanella, direttore del Musis di Roma, il Museo multipolare dell’informazione scientifica e tecnologica, l’approccio alla telematica deve essere però anticipato da una revisione più generale: “In Italia la cultura è storicamente umanistica. La scienza ha da sempre avuto un peso specifico limitato e marginale. Basta fare un confronto con alcuni dei paesi più avanzati nella divulgazione scientifica per rendersene conto. Occorre un impegno globale, e non solo di ordine tecnico, un progetto politico che recuperi il gap con la cultura umanistica”. Ma non solo: sarebbe necessaria anche una maggiore valorizzazione dell’esistente, sfruttando quel serbatoio di ricchezze naturali che è comunque presente nel nostro paese. “Magari – continua Campanella – chiedendo aiuto alla rete scolastica, che è già efficiente e arriva ovunque. Serve infine un’opera di decentramento della cultura statalista, che deleghi a chi è operativo sul territorio quel potere scientifico che oggi è ancora chiuso nelle stanze accademiche. La scienza ha bisogno di arrivare alla gente comune, alle masse, magari passando per le parrocchie e i cinema di quartiere. Internet, in questo contesto, è quindi un tassello importante, ma non decisivo per la divulgazione scientifica”.

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