Diagnosi precoce per i reni

Si chiama cistatina C ed è molto importante per determinare la funzionalità renale del feto. È infatti una proteina basica a basso peso molecolare che agisce come marker, cioè indicatore dello stato di salute dei reni del nascituro. Finora per “catturarlo” bisognava cercarlo nel sangue. Ma ora, grazie a uno studio presentato a Verona in occasione dei lavori congiunti dell’undicesimo International workshop on Neonatology Nephrology e del sesto Seminar on Pediatric Nephrology, il suo prelievo sarà più semplice. La ricerca, infatti, che sarà presentata entro la fine della primavera sul British Journal of Obstetric and Gynecology, mostra come la proteina possa essere estratta direttamente dal liquido amniotico.

“Andando a dosare la cistatina C nel liquido amniotico”, spiega Vassilios Fanos, responsabile del gruppo di studio di nefrologia della Società Italiana di Neonatologia che ha condotto la ricerca, “è possibile identificare in maniera netta feti affetti da uropatie ostruttive (patologie che provocano ostruzioni delle vie urinarie, n.d.r.). L’urina, infatti, trovando ostacoli lungo il decorso naturale, spesso ristagna o addirittura risale verso i reni danneggiandoli. Altre molecole, impiegate in passato come marker, non hanno invece la stessa capacità di discriminare”.

Uno studio che potrebbe rivoluzionare la ricerca di nuove forme di cura per queste patologie. “Un passo in avanti significativo”, continua Fanos “che ci consente di praticare una diagnosi ancora più precoce”. I reni sono composti da circa un milione di nefroni, l’unità funzionale dell’organo formata da vasi capillari. La cistatina C “catturata” nel liquido amniotico evidenzia la sofferenza anche di poche migliaia di nefroni, consentendo, pertanto, di fare una diagnosi a partire dal secondo trimestre della gravidanza.

I dati in possesso dalla Società Italiana di Neonatologia evidenziano che, ogni anno, circa l’8 per cento dei bambini venuti alla luce presentano problemi di uropatie ostruttive e, quindi, di conseguenza di sofferenza renale. “Abbiamo avuto nell’ultimo decennio un aumento anche sensibile dei casi”, dice Luigi Cataldi, ordinario di pediatria all’Università cattolica Sacro Cuore di Roma, “ma solo perché siamo riusciti a raffinare le tecniche di diagnosi precoce e, quindi, a scoprire in età fetale malformazioni che prima non potevano essere osservati”.

Tutte le ostruzioni delle vie urinarie (causate da malformazioni) provocano dilatazione e sofferenza renale a causa del rigurgito o del ristagno di urina lungo gli ureteri (condotti che mettono in comunicazione i reni con la vescica), ma non tutte le dilatazioni del rene sono ascrivibili alle ostruzioni. Così una diagnosi quanto più precisa possibile consente di ricorrere all’intervento terapeutico, medico o chirurgico, più idoneo. Sulla terapia è in atto una sorta di disputa fra diverse scuole di pensiero, anche se, in campo medico sembrano fornire speranze gli studi condotti sui topi di laboratorio da uno dei massimi esperti mondiali del settore, Robert Chevalier del dipartimento universitario di pediatria di Charlottesville (Virginia). Le sue ricerche dimostrerebbero che la somministrazione di sostanze protettive in feti che presentano sofferenza renale sembra riuscire a riequilibrare il delicato processo della crescita dei reni. Secondo alcuni studi, infatti, le uropatie ostruttive, oltre a provocare una sofferenza, possono alterare fattori di crescita del rene.

Il nuovo marker trova impiego anche nella ricerca di disturbi renali dovuti all’uso di farmaci in età perinatale. “Purtroppo”, spiega Luciano Tatò, direttore del dipartimento materno infantile e biologia genetica dell’Università di Verona “l’impiego di farmaci se da un lato ha migliorato sensibilmente la sopravvivenza dei prematuri, dall’altro ha creato problemi legati alla metabolizzazione delle molecole farmaceutiche”.

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