Diamo una mano al cuore

Lo scompenso cardiaco ha un livello di diffusione e un indice di mortalità superiore a quello delle malattie tumorali: in Italia riguarda oltre un milione di pazienti, il 30 per cento dei quali di età inferiore a 65 anni. Causa oltre 200mila ricoveri all’anno, finendo per rappresentare l’1,4 per cento della spesa sanitaria nazionale, ed è una malattia fortemente invalidante. Far conoscere questa condizione così da realizzare una rete di servizi integrati per la sua prevenzione è l’argomento a cui è dedicato il 6° congresso dell’ARCA (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali) in programma a Roma dal 21 al 24 aprile. Lo scompenso cardiaco è una delle epidemie sottovalutate del terzo millennio. Questo disturbo, che si può definire un po’ genericamente come la condizione in cui il cuore ha perso la la capacità di pompare una quantità sufficiente di sangue nell’organismo, è in diffusione crescente paradossalmente, proprio grazie ai progressi della cardiologia. “Lo scompenso si può considerare l’esito finale di ogni cardiopatia” spiega Giovanni Zito, presidente dell’Arca. “Per questo, meglio curiamo le cardiopatie, e più si riduce la mortalità per infarto, più aumenta il numero di persone che devono convivere con lo scompenso cardiaco”. Eppure è pochissimo conosciuto, se è vero come mostrano i sondaggi citati dall’Arca che solo il 2 per cento della popolazione italiana è in grado di indicarne i sintomi, che comprendono sensazioni di affaticamento, respiro affannoso, gonfiore a caviglie e gambe. Oltre che una migliore informazione, l’Arca intende promuovere la creazione di una rete di servizi per la prevenzione di questa malattia, basata prima di tutto sulla integrazione tra strutture ospedaliere e ambulatoriali. “Ad oggi solo il 56 per cento dei pazienti è inserito in un programma di controllo clinico a distanza, che non sempre coinvolge tutte le figure professionali” spiega Zito. La proposta dell’Arca riguarda la creazione di un sistema a più livelli. A partire dai medici di medicina generale e i cardiologi ambulatoriali. I primi possono individuare i fattori di rischio e intervenire su di essi, dal fumo all’alimentazione ricca di grassi, dalla sedentarietà all’abuso di alcool. I secondi hanno gli strumenti per una precoce individuazione di una disfunzione del ventricolo sinistro che è la più tipica avvisaglia dello scompenso cardiaco. “In Italia”, spiega Zito”, “esiste una rete di ambulatori di cardiologia diffusi sul territorio nazionale che possono essere utilizzati meglio di quanto non si faccia oggi”. Qui potrebbe avvenire il primo passo per la prevenzione della malattia, con un eco-Doppler, un ecocardiogramma e la misurazione del volume atriale sinistro. Questi semplici esami sono infatti sufficienti a rilevare lo scompenso diastolico con fibrillazione atriale, che rappresenta il 50 per cento dei casi di scompenso cardiaco. Utilizzando farmaci già disponibili come sartanici e aceinibitori, si può pensare di rallentare la progressione della malattia e ridurre il numero di ospedalizzazioni. Il secondo livello è l’assistenza ospedaliera in day hospital, il terzo la possibilità di eseguire esami strumentali e trattamenti terapeutici più complessi. Il tutto dovrebbe arrivare a formare una vera e propria unità operativa integrata, certo difficile da realizzare con la normativa attuale, ma che a detta dei cardiologi dell’Arca è l’unica possibilità realistica di gestire il paziente cardiopatico con i mezzi a disposizione.

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