Categorie: Spazio

Dici fisica quantistica, leggi buco nero

A quanto pare, particelle quantistiche e buchi neri – praticamente agli estremi delle scale spaziali a noi note – hanno qualcosa in comune, a parte la convivenza nell’immaginario collettivo di geek e appassionati di scienza e fantascienza. Dei fisici teorici hanno scoperto una sorta di connessione tra l’entanglement (una traduzione italiana è impossibile), una specie di legame intrinseco a distanza tra particelle, e i wormhole, una scorciatoia ipotetica che connette punti diversi dello spazio tramite due buchi neri. Sebbene l’intuizione potrebbe aiutare la complessa riconciliazione tra meccanica quantistica e relatività generale, due teorie valide indipendentemente ma ancora non unite in un modello unico e coerente, non mancano gli scettici, secondo cui la connessione scoperta dagli scienziati è solo una mera analogia matematica.

Andiamo con ordine, partendo dall’infinitamente piccolo. È difficile da mandar giù, ma particelle microscopiche come elettroni e quark sono capaci di “parlarsi” anche a distanze di anni luce. Tutto grazie al cosiddetto entanglement, una delle tante bizzarre leggi della meccanica quantistica. Per capire di cosa si tratta è necessario fare un ulteriore passo indietro: nel mondo subatomico, una particella può essere in due diverse condizioni, o stati, nello stesso tempo. Per esempio, semplificando un po’, un atomo può “ruotare” in una direzione o nell’altra (in su o in giù, il cosiddetto spin), ma anche in entrambe le direzioni contemporaneamente. Questo doppio stato, detto anche sovrapposizione quantistica, permane finché non si misura lo spin, momento in cui esso “collassa” su uno solo dei due stati. A complicare le cose c’è poi, per l’appunto, l’entanglement: due atomi possono essere intrinsecamente collegati in modo tale che entrambi abbiano la stessa sovrapposizione di stati allo stesso tempo. Se si esegue una misura sul primo atomo, provocandone il collasso, per esempio, nello stato di spin “su”, il secondo atomo collasserà istantaneamente nello stato di spin “giù”. Anche se è molto distante.

All’altro estremo ci sono i wormholes. Sono una conseguena della teoria relatività generale einsteniana, secondo la quale gli oggetti con massa deformano lo spazio e il tempo – o, meglio, lo spazio-tempo, e creano gli effetti della forza che noi chiamiamo gravità. Se un corpo è abbastanza massivo, può creare una specie di “buco” nello spazio-tempo così ripido che neanche la luce può sfuggirvi: i cosiddetti buchi neri. In linea di principio, due buchi neri separati potrebbero essere connessi, come corni di una tromba, a costruire una specie di scorciatoia nello spazio-tempo – il wormhole, per l’appunto. Non si creda, comunque, che tra entanglement e wormhole si sia aggirato il diktat einsteniano (stavolta ci riferiamo alla relatività ristretta) di impossibilità di superamento della velocità della luce. Il vincolo continua a valere, anche se i fenomeni descritti avvengono istantaneamente. L’entanglement non può essere usato per inviare segnali più veloci della luce perché è impossibile controllare l’esito della misura sull’atomo vicino e di conseguenza impostare quella dell’atomo lontano; e, d’altro canto, non ci si può teletrasportare attraverso un wormhole (ammesso che esista) perché sarebbe impossibile uscire dal buco nero all’estremità opposta rispetto all’ingresso.

Fatte queste premesse, ecco cos’è successo, come racconta anche Wired.com. A giugno, Juan Maldacena e Leonard Susskind, fisici teorici rispettivamente dell’Institute for Advanced Study di Princeton e della Stanford University di Palo Alto, hanno immaginato di rendere entangled due buchi neri, quindi poi separarli e tenerli a distanza (congetture solo matematiche, naturalmente). Da queste ipotesi è venuto che si formerebbe un vero wormhole tra i due buchi neri. Ma c’è dell’altro. Due équipe indipendenti di scienziati sostengono che sarebbe possibile creare un wormhole anche tra due particelle quantistiche ordinarie, come i quark. Kristian Jansen, della University of Victoria, e Andreas Karch, della University of Washington, hanno immaginato una coppia quark-antiquark nello spazio tridimensionale, che si allontanano a velocità prossima a quella della luce. In quel mondo, scrivono gli scienziati su Physical Review Letters, le particelle sono entangled; ma se si considera uno spazio più grande, a quattro dimensioni, di cui lo spazio originario sia solo un sottoinsieme, ecco che l’entanglement diventa un wormhole. Allo stesso risultato, più o meno, è pervenuta anche l’équipe di Julian Sonner, del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, concludendo che a particelle entangled in un mondo tridimensionale corrispondano wormhole in uno spazio a quattro dimensioni.

In effetti, tra scorciatoie nello spazio-tempo e realtà a quattro dimensioni, il tutto potrebbe liquidarsi come un mero divertissement matematico. Sono gli stessi Susskind e Maldacena a riconoscerlo. Dal canto suo, Karch sembra nutrire qualche speranza in più: “Il nostro modello offre una realizzazione concreta”, conclude, “dell’idea che la geometria dei wormhole e l’entanglement possano essere manifestazioni diverse della stessa realtà fisica”.

Riferimenti:
Maldacena-Susskind – ArXiv
Jansen-Karch – Physical Review Letters doi:10.1103/PhysRevLett.111.211602
Sonner – Physical Review Letters doi:10.1103/PhysRevLett.111.211603

Credits immagine: AllenMcC/Wikimedia Commons

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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