Dietro le quinte di Amazon.com

Quando il sito venne aperto al pubblico, nel luglio del 1995, ci lavoravano undici persone, stipate tra cavi, computer, modem e scatoloni di libri nel garage del loro capo: Jeffrey P. Bezos, per tutti Jeff. Poco più di quattro anni dopo, le persone che ci lavorano sono diventate 2100, il garage si è trasformato in un grattacielo di uffici, svariati centri di assistenza clienti e quattro centri di distribuzione (che presto saranno sei) negli Stati Uniti, due in Europa, e le azioni della società valgono la faraonica cifra di 22,1 miliardi di dollari (cioè quasi 41 mila miliardi di lire). Tra questi due estremi sta la parabola di Amazon.com, che cominciando a vendere libri al popolo della rete (e ora anche dischi, videocassette, giocattoli, elettronica e molto altro) si è trasformata nel paradigma del commercio elettronico, il miracolo del business online, l’esempio che tutti gli aspiranti protagonisti della nuova economia digitale vorrebbero seguire.

E la spinta di Amazon.com è tutt’altro che esaurita: niente dividendi agli azionisti, utili costantemente reinvestiti per espandersi. “Siamo la più famosa società in perdita del mondo”, ama ripetere Bezos, il cui impegno è ora quello di trasformare il suo miracolo, la cui salute dipende ancora molto dagli alti e bassi del mercato azionario, in una impresa solida e sicura sul lungo periodo. E allora via con nuove iniziative e nuovi prodotti, a caccia di nuovi mercati. Per esempio quello europeo. Dunque, ecco un nuovo centro clienti aperto in Olanda e una operazione di public relation in grande stile: porte aperte al quartier generale di Seattle (Usa) per una trentina di giornalisti del vecchio continente. Invitati a vedere, per la prima volta, tutto quello che sta dietro alle pagine del sito, a toccare con mano la macchina che si mette in moto ogni volta che uno dei sei milioni e passa di clienti Amazon preme il suo mouse e piazza un ordine d’acquisto.

Così si parte per Seattle: 15 ore di aereo e nove di fuso orario per arrivare in questa tranquilla cittadina affacciata sulle acque del Puget Sound e immersa tra le maestose foreste del Nordovest degli Stati Uniti. Dove le linee di montaggio della Boeing, storico colosso della “vecchia” economia, convivono ormai con i protagonisti di quella “nuova”. Seattle è la città di Bill Gates e Redmond, sede della Microsoft, non è molto lontana. E poi naturalmente c’è Amazon.

Il quartier generale è un palazzone di dieci piani in collina: splendida vista su downtown Seattle e il porto. Una volta era un ospedale e ad Amazon lo chiamano ancora Pac Med (Pacific Medical Center). “Volevamo tenerci parte delle attrezzature”, scherza Bezos, “ma non ce lo hanno permesso. Però questo edificio ha una qualità rara negli Stati Uniti: si possono aprire le finestre…”. Qui si lavora sodo, ma l’atmosfera non assomiglia in nulla a quella che ci si aspetterebbe nei corridoi di un’azienda multimiliardaria (in dollari). Età media attorno ai trent’anni, jeans, camicie a quadrettoni o t-shirts, orecchini, capelli multicolore. E poi diversi impiegati con cani al guinzaglio o micioni adagiati sulle scrivanie. I propri cuccioli al lavoro? “Certo”, esclama Bezos, “perché se non ami gli animali, allora c’è veramente qualcosa che non va in te”.

Al Pac Med si decidono i destini di Amazon e si studiano le nuove iniziative. Come quella nuovissima degli z-Shop: chiunque voglia vendere qualcosa attraverso la rete può aprire uno z-Shop su Amazon e approfittare così di una “vetrina” che sul Web ha pochi uguali. Oltretutto, chi acquista da uno z-Shop gode di tutte le garanzie dei clienti Amazon. In cambio, la società trattiene una percentuale sulle eventuali vendite, ma soprattutto con questa trovata l’eclettico Jeff ha trasformato (a costo quasi zero) la sua libreria virtuale in un emporio dove si trova davvero di tutto: dalle marmellate della zia fatte in casa, alle figurine da collezione, fino alle ville con piscina. Quanto rendono questi z-Shop? Top secret, notizia riservata da non divulgare alla stampa. Ma ad Amazon garantiscono di essere soddisfattissimi.

Comunque, il vero business di Amazon rimangono i libri, i Cd, i video e i giocattoli: una scelta tra 4,7 milioni di titoli e articoli diversi. E il cuore pulsante della società è il Distribution Center (che nello slang di Amazon diventa il Dc, pronunciato con uno strascicatissimo “diisii”). Si scende dalla collina con vista per addentrarsi nella periferia cittadina fino a un capannone tra i tanti. Fuori, una fila di camion, dentro una selva sterminata di scaffali e un andirivieni incessante di gente (tutti giovanissimi e con walkman d’ordinanza) che spingono carrelli, aprono scatoloni, sistemano volumi, imballano pacchi: ovunque ci si metta, cinque secondi dopo bisogna scansarsi sollecitati da un cortese, ma un po’ seccato, “Excuse me”, (“Permesso”). Si lavora sette giorni su sette, 24 ore al giorno a turni di otto.

Al “diisii” di Seattle (e agli altri sparsi negli Usa e in Europa) arrivano gli ordini dei clienti. Quanti ogni giorno? Top secret, notizia riservata da non divulgare alla stampa. Ogni ordine arriva nelle mani di uno tra le centinaia di addetti che parte con il suo carrellino per un lungo slalom tra gli scaffali. Ma come trovare un volume tra i milioni che stanno qui, con che ordine sono sistemati? Nessun ordine. I libri in arrivo vengono infilati nel primo scaffale vuoto disponibile. Con un lettore laser simile a quello dei supermercati (ma più piccolo e leggero) si legge il codice a barre del libro e quello dello scaffale che lo riceve. Poi ci pensa il computer a registrare la posizione di ogni singolo volume e a comunicarne le coordinate all’addetto: fila 207 A, scaffale 39, comparto 55. Una volta riempito, il carrellino approda al reparto spedizione e imballaggio. Economia digitale o meno, questa è una vera e propria catena di montaggio, non troppo diversa da quella di una fabbrica di pomodori pelati. Pacchi di cellophane, scatoloni grandi, scatoloni piccoli, etichette di destinazione: in pochi minuti il libro passa dagli scaffali al cassone del camion. Ma quanti volumi escono ogni giorno da qui? Top secret, notizia riservata… eccetera. Ma diciamo che siamo nell’ordine delle centinaia di migliaia.

Finito il tour del magazzino c’è giusto il tempo per un salto al Call Center, dove decine di addetti rispondono a getto continuo alle telefonate e alle e-mail dei clienti. Molti scrivono per complimentarsi, qualcuno anche per lamentarsi. Quanti? Top secret…

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