Non solo la qualità, ma anche la quantità conta. Uno studio sui pappagalli interamente italiano, pubblicato su Journal of Avian Biology, suggerisce infatti che la dimensione del loro genoma possa predire sia la longevità sia l’abilità nel volo.
Molte ipotesi sono state finora per spiegare l’enorme variabilità riscontrata nelle dimensioni del genoma degli uccelli. Da specie a specie infatti, la lunghezza del codice genetico cambia notevolmente. Un contributo a queste ricerche viene ora dallo studio di David Costantini, Luigi Racheli, Delia Cavallo e Giacomo Dell’Omo, svolto con la collaborazione dell’Università Sapienza di Roma, dell’Ispel e dell’Associazione Ornis Italica.
È noto da tempo che esiste una relazione tra la dimensione del genoma (misurabile in termini di massa o di numero di basi azotate che lo compongono) e alcune caratteristiche individuali. La relazione con la longevità e l’efficienza del volo, però, non era stata mai evidenziata in maniera chiara e univoca. Un problema oggettivo è che l’abilità nel volo è spesso legata alla longevità, dal momento che i meno abili sono le prede più facili. Se i due aspetti (durata della vita e grado di inettitudine al volo) non sono scindibili, l’analisi risulta distorta.
Costantini e colleghi hanno trovato il modo di ovviare a questo problema prendendo i pappagalli (ordine degli Psittaciformi) come modello di studio. “In questo gruppo di uccelli”, spiega l’autore a Galileo, “l’efficienza di volo non influenza la capacità di sfuggire ai predatori, perché falchi, aquile e gufi sono più rapidi di qualunque pappagallo, indipendentemente dalla sua bravura nel volo. Le due variabili sono, pertanto, indipendenti”.
I ricercatori hanno analizzato 279 pappagalli appartenenti a 11 generi diversi. Le analisi di tipo citometrico (che servono per misurare la lunghezza del genoma) e le correlazioni statistiche hanno confermato quanto già rilevato da studi precedenti: gli individui appartenenti a specie più agili nel volo sono caratterizzati da una quantità minore di Dna. Un genoma “minimalista” sembra generare, infatti, una maggiore dimestichezza nel volo, valutata in termini di carico alare, dimensioni e costo metabolico (cioè spesa energetica).
Il risultato più sorprendente riguarda, però, il rapporto con la longevità: gli individui di specie con un Dna più “pesante” sono quelli che vivono mediamente più a lungo. Alcuni studi effettuati in precedenza avevano invece rilevato il trend opposto, cioè un aumento della longevità al diminuire delle dimensioni del genoma. “I pappagalli sembrano costituire un’eccezione”, commenta ancora Costantini: “A livello puramente speculativo posso ipotizzare che un genoma ridondante, con un surplus di sequenze apparentemente inutili, costituisca una sorta di scudo contro i processi ossidativi responsabili dell’invecchiamento”. Il prossimo passo sarà cercare di capire quanto la variazione nella dimensione del genoma è influenzata da fattori individuali e quanto, invece, dalla distanza filogenetica (cioè la parentela) tra le specie. (i.n.)