Dna da galera

Il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie ha fatto il suo dovere. Ora la parola passa al Parlamento. È lì che l’idea di realizzare un database genetico dei criminali dovrà prendere vita, con l’approvazione di una legge. “La banca dati risponde a una precisa esigenza dei cittadini:”, spiega Leonardo Santi, presidente del Cnbb, “quella di sentirsi tutelati nel caso di piccoli crimini, come i furti, o di quelli reiterati, come a volte succede nel caso di violenze sessuali”. Il database non solo consentirebbe in questo caso di identificare con certezza l’autore del crimine, ma avrebbe un’azione di deterrenza: “nei paesi dove l’archiviazione è già usata da tempo si è avuta una discreta riduzione di questi crimini”, dichiara ancora Santi. In prima linea nella schedatura genetica sono gli Stati Uniti, dove il presidente Bush ha appena stanziato un miliardo di dollari in cinque anni a favore della Dna Initiative, finanziamenti che serviranno ad aiutare i singoli Stati a espandere i loro archivi. In più, lo scorso ottobre il Justice for all Act ha aumentato i tipi di profili di persone il cui Dna può essere incluso nel Codis, la banca dati dell’Fbi. Dove ora possono essere inseriti i profili genetici di tutti coloro che vengono arrestati per avere violato le leggi di uno degli Stati federali, con l’eccezione di quanti vengono fermati ma senza essere accusati di un crimine. In California però la legge va oltre: dallo scorso novembre è stata autorizzata una enorme espansione del database di Dna forense. Le forze di polizia hanno iniziato a raccogliere campioni di Dna di tutta la popolazione adulta, non solo di criminali. E l’esempio della California sta per essere seguito da altri 35 Stati.In Italia non sarà così, almeno non secondo il documento che il Cnbb ha consegnato alla presidenza del consiglio perché venga convertito in legge. In particolare per realizzare l’archivio genetico deve essere modificato un articolo del codice di procedura penale: in questo momento, infatti, il prelievo e l’esame del Dna può essere eseguito ma solo su base volontaria. In altre parole, nessuno può obbligare un cittadino, sebbene accusato di un crimine anche grave, a far analizzare il suo Dna. Quindi l’eventuale analisi di un campione biologico ritrovato sulla scena del delitto non può indicare con certezza il colpevole, o almeno la presenza in quel luogo di una determinata persona, ma solo tracciare un profilo di massima, far capire cioè agli inquirenti se si tratta di una parente della vittima, di cui si conosce il Dna, o, per esempio, se è un uomo o una donna. “In questo momento la scienza al servizio dell’investigazione è comunque meno efficace di quello che potrebbe essere”, sottolinea Santi. Se la legge verrà approvata, quindi, l’articolo del codice penale potrà essere modificato in modo da rendere obbligatorio il prelievo di un campione di saliva per tutti coloro che verranno arrestati con l’accusa di aver commesso un reato per il quale la pena sia superiore ai tre anni. Se gli eventuali tre gradi di processo giudicheranno la persona colpevole, il suo Dna rimarrà all’interno della banca dati per un massimo di 40 anni, se invece verrà scagionato dalla colpa potrà richiedere, a tutela della sua privacy, la rimozione delle informazioni che lo riguardano.Proprio la questione della privacy è quella che solleva più perplessità. “Per questo nel nostro documento indichiamo la necessità della continua sorveglianza sulla banca dati del Dna della Garante della privacy insieme a un comitato tecnico, costituito presso la presidenza del Consiglio, che vigili invece sulle questioni scientifiche”, spiega Santi. In ogni caso la mappatura-schedatura prevista dall’archivio italiano sarà sufficiente al riconoscimento della persona, ma non all’individuazione di eventuali difetti genetici.

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