In un articolo che guadagna la copertina di Science, alcuni ricercatori del Broad Institute di Harvard e del MIT, descrivono per la prima volta la struttura tridimensionale della doppia elica conservata nel nucleo cellulare. Stando allo studio, un “globulo frattale” impacchetta il materiale genetico in modo estremamente denso senza però formare nodi o grovigli, garantendo così la massima funzionalità.
Se ci divertissimo a srotolare il genoma contenuto nelle nostre cellule, arriveremmo a coprire una lunghezza di due metri. Ma come è possibile che tutto questo Dna sia contenuto in un nucleo dal diametro di appena un centesimo di millimetro? I ricercatori statunitensi hanno scoperto che all’interno delle cellule il Dna è organizzato in due compartimenti distinti: da una parte ci sono i geni attivi, accessibili alle proteine che avviano i processi di trascrizione, dall’altra tutto il materiale genetico non funzionale, ammassato in gruppi compatti.
Sino a oggi, inoltre, si credeva che il Dna fosse compresso in una struttura chiamata “globulo di equilibrio”. Questa configurazione, però, non era molto funzionale perché ricca di nodi. La nuova struttura osservata dai ricercatori è una cosiddetta organizzazione frattale (in matematica corrisponde a un oggetto geometrico che si ripete uguale nella sua struttura su scale diverse), che permette alle cellule di impacchettare il materiale genetico in modo estremamente stretto, senza però formare nodi o grovigli che interferiscano con la lettura e la traduzione del Dna stesso. Questa organizzazione consente inoltre al doppio filamento di dispiegarsi e ripiegarsi all’occorrenza, durante la sintesi proteica o la replicazione cellulare. Il cosiddetto “globulo frattale” era stato teorizzato più di 20 anni fa, ma solo oggi è stato osservato per la prima volta.
Per decifrare la struttura tridimensionale del Dna, i ricercatori hanno utilizzato l’innovativa tecnica dell’Hi-C, che consente di analizzare il genoma presente nelle vicinanze dei singoli geni. “Rompendo il Dna in milioni di frammenti, abbiamo disegnato una mappa spaziale che mostrava quanto le diverse parti erano vicine le une alle altre”, spiega Nynke van Berkum, coautore dello studio. “Non abbiamo fatto altro che creare un fantastico puzzle tridimensionale per poi, con l’aiuto di un computer, risolverlo”. (m.s.)
Riferimento: Science DOI: 10.1126/science.1181369
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