Donatello ritrovato

Una nuova opera da inserire nel catalogo di Donatello? Così sembra ad ascoltare i risultati di un decennio di studi di Giancarlo Gentilini, ordinario di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Perugia e Marco Pizzo del Museo del Risorgimento di Roma presentati nell’ambito di un convegno lo scorso 15 giugno a Roma nelle sale del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, dove è stata esposta l’opera in questione. Il frammento, che mostra una Madonna fra tredici cherubini in atto di porgere due corone, è ritenuto parte di una lunetta raffigurante l’Incoronazione di S. Caterina che un tempo decorava la cappella di S. Maria sopra Minerva dedicata alla patrona d’Italia. L’attribuzione a Donatello era già stata avanzata all’inizio degli anni Novanta da Federico Zeri su base stilistica, un’intuizione che ora verrebbe confermata anche dai documenti. Il maggior sostegno all’autografia donatelliana, infatti, è rappresentato da una lettera del 28 aprile 1592 inviata al collezionista Baccio Valori dal suo agente romano Marcantonio Dovizi, nella quale quest’ultimo propone l’acquisto di un gruppo di marmi donatelliani proveniente da un monumento dedicato a S. Caterina. Lo scritto si dilunga anche sulla descrizione del soggetto che aveva al centro la beata Caterina (sarà santa solo dopo la canonizzazione del 1461) e ai lati la Vergine e Cristo che la incoronavano.L’ipotesi dei due ricercatori ben si sposa anche con la storia della lunetta esistente nella chiesa romana sin dalla fine del Trecento, quando fu voluta da Raimondo da Capua, priore dell’ordine domenicano e biografo della santa scomparsa nel 1380, arricchita all’inizio degli anni Trenta e negli anni Sessanta del XV secolo rispettivamente grazie alle committenze di Antonino Pierozzi – priore e successivamente santo – e Angelo Capranica. Nel secolo successivo, tra il 1573 ed il 1579, la nuova dedicazione al Rosario causò la rimozione dell’apparato scultoreo quattrocentesco, di cui in chiesa oggi resta solo la statua della santa giacente, sistemata sotto l’altare maggiore.Gli anni dei lavori per Antonino Pierozzi sono quelli che interessano di più per l’attribuzione, poiché sono proprio quelli in cui Donatello è a Roma (1430-33), periodo in cui l’artista si allontana dal cantiere di Prato. Una così lunga assenza del maestro dalla città toscana oggi sembra più facilmente comprensibile, ipotizzando un lavoro di tale rilevanza alla Minerva, tanto più se si pensa che il committente è un fiorentino, elemento che ben si accorda con la chiamata di un artista conterraneo. Alla fine del XVI secolo il marmo venne venduto, probabilmente in tre parti. A questo punto se ne perdono le tracce che riaffiorano nel Seicento, quando il pezzo con la Vergine è citato nella tenuta Saccoccia nei pressi di Mentana, all’interno della quale nel XVII secolo sorgeva una cappella rurale di pertinenza dell’ordine antoniano, soppresso nel 1798.Cosa sia successo dopo è un particolare su cui si è preferito glissare durante il convegno. Purtroppo, infatti, alle domande più spinose non viene data risposta: nessuno precisa di chi è oggi la proprietà dell’opera, abitualmente conservata in un caveau, né tanto meno quale sarà il suo futuro, anche se tutto lascia ipotizzare una vendita al migliore offerente.Di certo nell’immediato futuro verrà esposta il più possibile, affinché il pubblico e soprattutto la comunità scientifica possa conoscerla, confermare l’attribuzione e, magari, affiancarla ad altri frammenti provenienti dalla stessa cappella.

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