Cosa fare contro il doomscrolling, l’ansia di cercare cattive notizie sui social

doomscrolling

Doomscrolling è un neologismo inglese, nato dall’unione delle parole doom, ossia “sciagura”, e scrolling, ossia “scorrimento”, ed entrato alla fine di aprile 2020, in piena pandemia, tra le parole di tendenza del dizionario Merriam-Webster. Il termine, come suggerisce il nome, descrive “la tendenza a scorrere compulsivamente le pagine di un sito, la bacheca di un social network, lo schermo del proprio telefono, alla ricerca di cattive notizie”. Una tendenza che, in un momento storico come questo, è naturalmente esacerbata da eventi come, per l’appunto, la pandemia da Covid-19 e la guerra tra Russia e Ucraina. E che va ben oltre il semplice desiderio di informarsi, assumendo connotati spesso patologici. Perché, semplificando un po’ il fenomeno, leggere cattive notizie porta all’aumento di stress e paura, per combattere i quali si continua ulteriormente a scorrere altre notizie, e così via: un circolo vizioso difficile da interrompere e potenzialmente molto pericoloso.

“Quello che oggi chiamiamo doomscrolling – spiega a Wired David Lazzari, presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi – è la manifestazione di un fenomeno più ampio e noto da tempo, la cosiddetta coazione a ripetere. Si tratta di uno schema di comportamento in cui si entra in un loop di dipendenza e si ripetono compulsivamente le azioni che caratterizzano la dipendenza stessa. L’origine di questo fenomeno è di solito un eccesso di tensione, che porta a una disregolazione dei normali meccanismi di controllo del nostro comportamento. Un po’ come chi che hanno bisogno di controllare ossessivamente, a breve distanza di tempo, di aver chiuso il rubinetto del gas”.

Cosa succede nel caso dell’informazione in tempi come questi? “Siamo in ansia, com’è normale che sia – riprende Lazzari – e sentiamo il desiderio di cercare notizie, esponendoci al bombardamento mediatico, il che non fa che rinforzare la nostra ansia. Non dimentichiamo che l’etimologia di informare è dare forma: in questo senso, le notizie – specie quelle cattive, specie quelle presentate in maniera spettacolarizzata – danno forma e corpo alle nostre paure, plasmando il nostro comportamento. Le notizie cattive ed eccessivamente spettacolarizzate, in particolare, agiscono sulle nostre euristiche, ossia sui canali di elaborazione veloce, quelli che ci mettono in allarme, piuttosto che sul cosiddetto pensiero lento, quello consapevole e ponderato. E dunque ci possono portare a comportarci in maniera irrazionale e talvolta poco sana”.

I colleghi di Wired US hanno recentemente messo a punto una lista di consigli e accorgimenti per aumentare la consapevolezza sul fenomeno e, se è il caso, prendere le opportune contromisure. Vediamola insieme:

Ascoltare le proprie sensazioni

Il primo passo è cercare di comprendersi e conoscersi il meglio possibile. La domanda da porsi, dunque, è anzitutto: “Perché sono così interessato alle cattive notizie? E perché l’opinione degli altri è così importante?”. Le ragioni potrebbero essere molte, e spesso del tutto scollegate dalle catastrofi del mondo: stress lavorativo, per esempio, o problemi sentimentali o familiari, che ci possono portare, per reazione, a cercare di “distrarci” prendendo in mano lo smartphone e compulsare la ricerca di cattive notizie. 

In questo modo, se si riesce a identificare la ragione vera del problema, o il bisogno che porta al doomscrolling, si può agire direttamente sulla causa anziché sul sintomo, con risultati più efficaci. Se il problema è il lavoro, per esempio, si può chiedere aiuto ai propri colleghi, anziché distanziarli ulteriormente nascondendosi dietro lo schermo di un telefono.

Informarsi è diverso da ingozzarsi

Il desiderio di rimanere informati sulle cose del mondo, naturalmente, è sano e giusto. Smette di esserlo quando da informarsi si passa a ingozzarsi di notizie. La sovraesposizione e la sovrastimolazione, specie se a fatti particolarmente negativi e drammatici, e specie se condotta in solitudine e compulsivamente, può dare la stura a meccanismi psicopatologici come l’aumento di stress e il pregiudizio per il confronto sociale con gli altri. È un fenomeno in qualche modo normale.

“Quando siamo preoccupati o sopraffatti da qualcosa – spiega a Wired US Megan E. Johnson, psicologa clinica e ricercatrice specializzata in traumi e relazioni tra cervello e comportamento – il nostro cervello cerca di raccogliere più informazioni possibile, per avere il controllo della situazione: l’idea è che se disponiamo di tutti i fatti, possiamo prendere decisioni migliori e proteggerci dai pericoli. Questa illusione di controllo e sicurezza, però, è un errore. Perché, semplicemente, le fonti di informazione sono infinite, e quindi il nostro bisogno non potrà mai essere soddisfatto”. 

Quello che bisogna cercare di fare in questa situazione, allora, è imporsi di limitare le stimolazioni: scegliere solo alcuni organi di informazione (preferibilmente affidabili), per esempio, e consultare soltanto quelli, e ricordare che è la qualità delle informazioni, e non la loro quantità, a procurarci un senso di maggiore sicurezza. Prima dell’invenzione della stampa i libri in circolazione erano relativamente pochi: nell’arco di una vita intera era forse possibile acquisire buona parte della conoscenza prodotta dal genere umano fino a quel momento (vedi il buon Salimbene da Parma); adesso siamo nell’estremo diametralmente opposto, ed è impensabile tentare di essere costantemente aggiornati e informati su tutto.

Stabilire dei limiti

È un corollario del suggerimento precedente: una strategia tanto semplice quanto efficace per contrastare il doomscrolling è quella di stabilire dei limiti spaziali e temporali per il consumo (parola tutt’altro che casuale) delle notizie. Quindi, per esempio: sfogliare i giornali solo a colazione, consultare i social network solo dopo l’orario lavorativo, spegnere tassativamente il telefono un’ora prima di andare a dormire. 

Costruire, insomma, una barriera fisica che tenga tecnologia e social media lontani dal proprio tempo libero e dal proprio spazio di comfort. Anche perché è notorio che la luce dei dispositivi retroilluminati rende più difficile addormentarsi e rovina la qualità del sonno.

Attenzione al pregiudizio di conferma

Gli inglesi lo chiamano confirmation bias, traducibile con “pregiudizio di conferma”. Parole che, nel concreto, si traducono in un concetto molto semplice: ci piace sentirci dire quello che già sappiamo, e tendiamo a cercare conferme di ciò che già crediamo. Si tratta di un meccanismo psicologico ormai ben noto e studiato, che ha implicazioni non implicazioni non indifferenti nell’ambito della disinformazione e delle fake news

Il fatto che cerchiamo solo informazioni che corroborano quello che vogliamo sentirci dire fa sì che molto difficilmente cambieremo idea, e non c’è fact-checking che tenga (come d’altronde aveva svelato, in tempi meno sospetti, un esteso studio italiano condotto dal team di Walter Quattrociocchi). Questo fenomeno non fa che alimentare il doomscrolling: sono convinto di certe cose e voglio cercare compulsivamente tutte le informazioni che confermano quello in cui credo. Come uscirne? Una possibilità, per esempio, è quella di provare a cercare argomentazioni che vadano contro le proprie convinzioni, crederci e provare a sostenerle. Una sorta di partita a scacchi da soli, in sostanza. E poi, naturalmente, cercare un confronto costruttivo e aperto, il più possibile privo di pregiudizi, con persone che la pensano diversamente.

Ansia e paura sono “normali”

Siamo esseri umani. E dobbiamo accettare di essere fallibili. Di avere fragilità, paure, insicurezze, tanto più in un momento storico come questo. Quando non si riesce a gestire queste sensazioni in maniera sana, la strategia migliore non è certo quella di isolarsi e scorrere il feed di giornali e social media ingurgitando bulimicamente cattive notizie. La risposta più efficace, nel momento in cui ci accorgiamo che le nostre paure ci paralizzano e ci portano a comportamenti insalubri, evitanti e che si auto-alimentano, è quella di chiedere aiuto a un professionista. Non c’è nulla di cui vergognarsi, e non c’è niente di più sano.

Via: Wired.it
Credits immagine: Priscilla Du Preez/Unsplash