Lo studio dei complicati meccanismi della memoria umana fa progressi. Scienziati americani di Stanford hanno localizzato i due differenti cluster (gruppi) di neuroni responsabili della codificazione e della rievocazione dei ricordi. John Gabrieli e i suoi collaboratori della Stanford Scool of Medicine hanno notato che quando le informazioni vengono “codificate” dalla memoria l’attività della regione posteriore dell’ippocampo aumenta visibilmente. Quando invece il cervello è impegnato a “rievocare” informazioni già acquisite è la regione anteriore dell’ippocampo a lavorare di più.Già da tempo gli scienziati sospettavano che nel nostro cervello – così come in quello degli animali utilizzati finora per gli studi sulla memoria – gruppi di neuroni differenti intervenissero nei diversi processi della memorizzazione di medio periodo. La conferma di questa che, per quanto accreditata, era solo un’ipotesi, ci viene proprio dal recente studio di Gabrieli, pubblicato sull’ultimo numero di Science.: una scoperta resa possibile dalla tecnica della risonanza magnetica per immagini (Mri). E’ stata questa metodica – una procedura non invasiva, di facile applicazione e poco costosa – a permettere di analizzare e misurare l’attività neuronale contemporaneamente in aree del cervello anche poco distanti tra loro.Ma in cosa è consistito esattamente l’esperimento di Gabrieli? La prima fase è stata quella di mostrare a persone adulte e con capacità mnemoniche normali, disegni di oggetti e di animali. Il giorno dopo quelle stesse persone sono state sottoposte a un test: dovevano segnalare agli sperimentatori quando, nel vedere scorrere una serie di parole, riconoscevano quelle corrispondenti agli oggetti o agli animali che avevano visto ventiquattr’ore prima. Questa operazione richiede al cervello uno sforzo di “rievocazione” mnemonica. Analizzando le immagini ottenute con la Mri, i ricercatori hanno notato che, durante il test, l’attività del cervello si concentrava nel subiculum dell’ippocampo.Nella seconda fase dell’esperimento, ai volontari venivano mostrate fotografie a colori che rappresentavano scene di vita domestica o esterna. Successivamente, alle stesse persone veniva chiesto di ricordare i dettagli delle fotografie. Quando ai partecipanti al test venivano sottoposte immagini mai viste prima, cioè quando il cervello doveva “codificare” informazioni nuove, l’attivazione dei neuroni era maggiore nell’area detta del cortex del paraippocampo. La risonanza magnetica per immagini, proprio per la sua assoluta innocuità ha quindi tutti i numeri per essere utilizzata non solo per indagare i meccanismi della memoria e le funzioni delle differenti zone del cervello, ma anche per studiare l’evolversi di gravi malattie come l’ictus e l’Alzheimer.
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