Duelli in punta di scienza

Ecco un libro che racconta il volto umano delle scoperte scientifiche. Faide, litigi, risse, questioni di priorità e fiera delle vanità. “Le dispute della scienza” di Hal Hellman, divulgatore di scienza e collaboratore di giornali come il New York Times, ci porta ben oltre la fucina delle grandi menti. Direttamente nell’animo di coloro che sono stati i protagonisti delle più grandi scoperte della scienza. Attraverso dieci capitoli, ognuno dei quali organizzato attorno a una disputa, l’autore ricostruisce cronologicamente la storia di alcune spettacolari controversie scientifiche. L’editore, Raffaello Cortina, ce ne offre un’anticipazione.

Urbano VIII contro Galileo: tra scienza e religione
Nel 1633 Galileo Galilei cadde nelle mani della Santa Inquisizione e fu costretto ad abiurare la sua convinzione, secondo cui era la Terra a girare intorno al Sole, e non viceversa. Secondo lo scienziato pisano, infatti, il libro della natura era scritto nel linguaggio della matematica, non in quello dei versetti biblici. “Il 22 giugno 1633 Galileo Galilei fu posto sotto processo […]. Tutta la grandiosa potenza della Chiesa Cattolica romana sembrava schierata contro di lui, un vecchio di sessantanove anni, che nella sua difesa citò “il suo miserabile stato di salute fisica”. Minacciato di tortura, di incarceramento e persino del rogo, fu costretto ad inginocchiarsi e ad “abiurare, maledire e sconfessare” una vita di pensiero e di lavoro brillante. […]. Lo scienziato pisano fu posto agli arresti domiciliari sino alla morte. Infine, il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano, venne proibito e messo all’indice”. “Mentre veniva dedicato a San Pietro il grande baldacchino, ove Urbano era accompagnato dalla Speranza e dalla Carità, il Papa stava tartassando duramente il povero Galileo, che aveva osato sfidare la sua potenza.

Wallis contro Hobbes: la quadratura del cerchio
Intorno al 1650, il matematico, crittografo e prete John Wallis, sostenitore del metodo algebrico, e il filosofo Thomas Hobbes, sostenitore della geometria, divennero protagonisti di un’accesa controversia in merito alla quadratura del cerchio. In un libretto in latino, Wallis criticava aspramente le definizioni di Hobbes nonché i suoi metodi; “analizzava e colpiva con grande abilità, usando qui rozze prese in giro, e là solenni prediche”. Ma la loro disputa si dimostrerà vana: “Nel 1882 il matematico tedesco Ferdinand Lindemann doveva dimostrare che il problema della quadratura del cerchio, che tanto aveva impegnato Hobbes e Wallis, è irresolvibile, così come è formulato”. Eppure, dalla querelle prenderanno piede i futuri sviluppi del metodo di analisi matematica denominato Calcolo. A seguito di una battaglia durata quasi un quarto di secolo, ecco la conclusione di Hobbes: “O io solo sono matto, o io solo non sono matto; non c’è alternativa, se non che qualcuno, forse, dica che siamo matti tutti quanti insieme”.

Newton contro Leibniz: il calcolo differenziale
Forse non tutti sanno che il Calcolo differenziale e integrale, che è alla base della matematica moderna, “fu scoperto pressoché simultaneamente da due uomini, e indipendentemente l’uno dall’altro: Isaac Newton e Gottfried Wilhelm Leibniz. […]. Newton prese a lavorare seriamente ai Principia nel 1684, proprio nel momento in cui Leibniz cominciò a dare alle stampe notizia del suo “calcolo differenziale”. Nella primavera di quell’anno apparve il primo scritto di Leibniz: Newton non era neppure citato! Leibniz era o no a conoscenza delle ricerche dell’inglese? Sembra probabile che in quel periodo già lo fosse”. Come spesso accade in questi casi, ad avere la meglio è quello che può contare sulle amicizie più influenti, e Newton aveva alle spalle la Royal Society. “Quando Leibniz morì, a Hannover, nel 1716, con i suoi progetti tutti falliti e neppure un amico nella corte dove aveva lavorato per quasi quarant’anni, al suo funerale non presenziò nessuno, eccetto il suo segretario. Un amico annotò nelle sue memorie che Leibniz fu seppellito più come un ladro che come ciò che realmente era, il principale ornamento del suo paese”.

Voltaire contro Needham: la generazione spontanea
La controversia tra Voltaire e il prete-scienziato John Turberville Needham ebbe come argomento la generazione spontanea: quest’ultimo sosteneva di aver assistito alla creazione della vita a partire da materia non vivente. Le osservazioni dell’ecclesiastico furono pubblicate nel 1750. “Si trattava di una sconnessa mistura di scienza, filosofia e polemica religiosa: proprio il genere di cose che mandava Voltaire su tutte le furie”. La polemica fu condotta a suon di colpi bassi. Voltaire finì per dare a Needham dell’omosessuale, e quest’ultimo ricambiò mettendo in dubbio il presunto voto di celibato del filosofo: un riferimento ai molti amori di Voltaire, l’ultimo dei quali con la propria nipote. “Nonostante Voltaire fosse capace di ridere di se stesso, non era certo disposto a lasciarlo fare anche ad altri, e in special modo a Needham”. E cominciò a cambiare identità al suo avversario: nelle sue Lettres sur les miracles, libricini solo formalmente anonimi, il filosofo francese descrisse il suo avversario come un prete mascherato da essere umano, capace di creare miracolosamente anguille a partire da salsa di montone e frumento andato a male. Needham si rifiutò di ammetere la sconfitta. Ma ci volle l’attività di ricerca di molti altri prima che si potessero suonare definitivamente le campane a morto per la tenace dottrina della generazione spontanea.

Darwin contro Samuel Wilberforce: l’evoluzione
A detta dello storico della scienza William Provine, la vera spaccatura tra scienza e religione non si verificò all’epoca dello scontro tra Galileo e Urbano VIII, ma due secoli più tardi, con Darwin e il vescovo di Oxford Samuel Wilberforce. I tempi erano ormai maturi e, sulla lunga distanza, a Darwin andò sicuramente meglio che a Galileo, e la sua teoria dell’evoluzione della specie non poté non essere riconosciuta. Il culmine della controversia fu raggiunto una domenica pomeriggio dell’estate del 1860. “La grande sala dell’Università di Oxford era affollata. Vi erano stipate più di settecento persone, con la sezione centrale che appariva come una solida massa di nero clericale. I pochi sostenitori delle nuove e strane teorie di Darwin erano sparsi per la sala”. Tra questi Thomas Henry Huxley, uno scienziato molto rispettato. Wilberforce accusò la teoria darwiniana di essere semplicemente “un’ipotesi, sollevata in modo assolutamente non filosofico, alla dignità di teoria causale”. Huxley ribatté: “Non mi vergognerei a discendere da una scimmia. Ma mi vergognerei se fossi stato generato da chi prostituisce i doni della cultura e dell’eloquenza mettendoli al servizio del pregiudizio e della falsità”.

Lord Kelvin contro geologi e biologi: l’età della Terra
Il dogmatismo non viene solo dalla Chiesa. Lord Kelvin, eminente scienziato, il cui vero nome era William Thompson, monopolizzò le ricerche scientifiche per la datazione dell’età della Terra, escludendo che essa potesse essere tanto antica quanto sostenevano alcuni sui colleghi geologi. La sua parola ha dettato legge per lungo tempo, contribuendo a ritardare i progressi di buona parte della scienza a lui contemporanea. “Se Thompson aveva ragione, allora parecchie prestigiose teorie si rivelavano impraticabili. Per esempio, i geologi si guardavano intorno e vedevano una Terra tormentata che esigeva una storia di miliardi di anni. Anche la teoria dell’evoluzione di Darwin, peraltro non ancora consolidata, richiedeva una preistoria molto più lunga di quanto concedessero i numeri di Thompson. Di conseguenza, quest’ultimo non accettò mai la teoria dell’evoluzione”.

Cope contro Marsh: la guerra dei fossili
Nel 1890 Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh, entrambi paleontologi, si contendevano il numero e la rilevanza dei fossili trovati. Le accuse reciproche includevano il plagio, l’incompetenza e persino la frantumazione di reperti per impedire ad altri di prenderne visione: entrambi aspiravano ad essere il numero uno degli Usa come esperto e raccoglitore di fossili di dinosauro. Una disputa all’apparenza insignificante, ma che produsse il più inaspettato dei risultati: in capo a qualche mese la paleontologia divenne una moda, i finanziamenti per la ricerca aumentarono e le scoperte pure. La disputa tra i due studiosi finì anche sui giornali: “Il mattino del 12 gennaio 1890 la comunità scientifica ricevette uno shock senza precedenti. Una faida di cui molti sapevano da anni era stata improvvisamente spiaccicata sulla prima pagina dell’Herald, uno dei maggiori quotidiani di New York. Il titolo in grassetto diceva: alcuni scienziati si dichiarano guerra a oltranza. Seguivano nove colonne di succosi dettagli […]. E l’Herald vendette un sacco di copie”.

Wegener contro tutti: la deriva dei continenti
“All’inizio del Novecento il giovane scienziato tedesco Alfred Wegener propose la teoria della deriva dei continenti. L’idea di base era la seguente: in qualche momento del lontano passato, tutti i continenti della Terra erano uniti in una singolare massa di terra che egli chiamò Pangea […] Oggi quest’idea non ci procura problemi: si tratta del fondamento su cui è basata l’odierna scienza della Terra nel suo complesso. Tuttavia, quando Wegener la lanciò per la prima volta, la reazione non fu solo negativa, ma tanto intensa da indurre molti che avrebbero preso le sue parti a trattenersi per tema di mettere a rischio la propria carriera. Per cinque decenni i suoi pochi sostenitori sono stati trattati con disprezzo dagli scienziati. […]. Nelle critiche spesso sono comparsi termini come “ridicolo, antiquato, errore serio, e persino pericoloso”. Oggi sappiamo che per molti aspetti Wegener aveva ragione. “La sua eredità è ancora viva: più importante, grandiosa, maestosa e onnicomprensiva di quanto egli stesso avrebbe mai potuto immaginare”.

Johanson contro Leakey: l’anello mancante
“Successe la mattina del 18 febbraio 1979, con una fotografia a tre colonne a fondopagina. Proprio sotto la foto vi era il titolo: Antropologi rivali si scontrano su una scoperta pre umana”. L’inizio sembrerebbe lo stesso di Cope e Marsh, con due piccole varianti sul tema: non si tratta di una disputa fine Ottocento, ma dei nostri giorni e il quotidiano che si è scomodato a darne notizia è nientemeno che il New York Times. Di cosa mai discuteranno i due antropologi, Donald Johanson e Richard Leakey? Del nostro antenato primordiale. Credevamo che a questa domanda avesse già risposto Darwin, ma Johanson e Leakey parlano di un anello mancante tra la scimmia e l’uomo e, naturalmente, non sono affatto concordi sulla sua natura. Johanson è infatti colui che ha ritrovato il fossile di Lucy, secondo lui parte di una nuova specie chiamata Australopithecus afarensis, mentre Leakey è lo scopritore del “1470”, appartenuto secondo lui al più antico membro della specie Homo, mentre Lucy va inserita in categorie già esistenti. La battaglia più dura tra i due? Quella davanti a Walter Cronkite, durante il programma televisivo Universe, nel 1981.

Derek Freeman contro Margaret Mead: natura o cultura?
“Un nuovo libro sulle Samoa mette in discussione le conclusioni della Mead”: era il titolo del New York Times del 31 gennaio 1983. L’autore del libro era Derek Freeman, un professore australiano di antropologia che aveva osato mettere in dubbio la parola dell’antropologa Margaret Mead, sostenendo che tra natura e cultura la prima ha sicuramente la meglio. “La Mead non era solo una scienziata nota in tutto il mondo, ma anche una sorta di guru per un gran numero di giovani dei turbolenti anni Sessanta; una consigliera per molti genitori […] e una consulente dei governi sulle politiche sociali”. E’ ancora presto per dire chi dei due contendenti abbia ragione, perché la disputa è ancora aperta. Siamo negli anni Novanta, ma i corsi e ricorsi della scienza sembrano destinati a ripetersi.

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