E Darwin va in scena

Immaginatelo sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano, declamare con voce baritonale i principi della selezione naturale e la storia dell’evoluzione delle specie. Nessuno stupore: perché il grande paleontologo e geologo americano Stephen Jay Gould, l’autore di classici della divulgazione scientifica come “Il pollice del panda” o “Quando i cavalli avevano le dita”, sembra avere un debole per queste attività artistiche. Prova ne sia il fatto che Gould si è già detto disponibile non soltanto a scrivere la sceneggiatura di un testo teatrale sulle teorie di Darwin, ma anche a recitarne il testo in prima persona. Magari sotto l’attenta guida del regista Luca Ronconi.

Ma davvero quella della rappresentazione teatrale può essere una delle possibili forme della comunicazione scientifica? Insomma, esistono forme espressive più originali dei saggi e degli articoli scientifici per esporre i contenuti di una ricerca? A queste domande ha cercato di dare risposta il convegno “Espressioni della scienza”, con cui sabato scorso si è conclusa l’undicesima edizione di “Spoletoscienza”, la manifestazione parallela al “Festival dei due mondi” organizzata come ogni anno dalla Fondazione Sigma-Tau. Ai lavori hanno partecipato nomi illustri della ricerca e della divulgazione scientifica: scienziati specializzati nella comunicazione come John Barrow e John Casti, lo storico della scienza Pietro Corsi, la corrispondente di Nature Alyson Abbot, il semiologo Paolo Fabbri, lo scrittore Ian McEwan, Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano e Carl Djerassi, biochimico e autore di opere teatrali su temi scientifici.

Filo conduttore del dibattito, l’idea – condivisa all’unanimità dai relatori – che la scienza non debba rimanere relegata nell’ambito ristretto degli specialisti, ma neppure arrendersi a semplicistiche forme di divulgazione, che spesso ne forniscono una rappresentazione spettacolare e banalizzata. “Diffondere cultura scientifica non significa soltanto pubblicare i risultati di una ricerca, ma mostrare anche le diverse scelte e alternative che hanno dato origine ad una certa immagine della scienza”, sostiene spiega Pino Donghi, segretario generale della Fondazione Sigma-Tau. Significa insomma condividere con il pubblico le riflessioni che determinano ciò che la scienza è, in un certo momento storico. Un obiettivo difficile, che si raggiunge solo diversificando le forme espressive attraverso le quali vengono comunicati al pubblico le teorie, le scoperte, le novità, gli eventi scientifici. “Nessun libro, nessuna trasmissione televisiva, nessuna conferenza – prosegue Donghi – può riassumere da sola il significato di un evento scientifico. Soltanto la pluralità dei modelli e dei prodotti consente una corretta diffusione della cultura scientifica, e permette di superare i limiti della divulgazione”.

E’ proprio sulla base di queste premesse che la Fondazione Sigma-Tau, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, sta lavorando alla rappresentazione teatrale di alcuni importanti temi scientifici. Al progetto, che è ancora in una fase sperimentale, hanno assicurato il loro contributo altri relatori del convegno, tra cui Barrow, Fabbri e Corsi. Per la prossima primavera sono già in programma due produzioni: due interviste immaginarie ad alcune figure di primo piano nella storia della scienza. La prima, come già detto, vede protagonista Darwin-Gould alle prese con gli esiti e l’evoluzione delle sue teorie. La seconda, invece, a cura di Barrow, avrà come protagonisti tre grandi matematici del Novecento: Cantor, Brouwer e Gödel, che si confronteranno sul problema dell’infinito. A questi progetti se ne aggiungeranno poi molti altri, fino a formare una mappa di spettacoli sulle idee più significative dell’attuale discussione scientifica. A Sergio Escobar e Luca Ronconi è stato affidato il compito di valutare la rappresentabilità dei testi e di lavorare alla messa in scena vera e propria.

E’ la prima volta che in Italia avviene una collaborazione così stretta fra scienza e teatro. E il direttore del Piccolo ha spiegato le ragioni che lo hanno spinto ad accettare questa proposta con tanto entusiasmo: “Il saggio scientifico con cui si comunicano generalmente i risultati di uno studio ha una forma ermetica ed estremamente asettica: è una sterilizzazione del contenuto rispetto alle ragioni più profonde che sono alla base dell’idea. Presentare un lavoro scientifico a teatro significa, in qualche modo, restituirgli la conflittualità che appartiene alle ipotesi, alle motivazioni, ai contesti, ai fatti occasionali che accompagnano il suo processo di sviluppo”. E il teatro, per la sua naturale vocazione a rappresentare la dialettica e la conflittualità, è un mezzo ideale per divulgare la scienza. “Attraverso la rappresentazione teatrale – prosegue infatti Escobar – vogliamo restituire alla scienza la sua problematicità. E’ un esperimento che ci stimola e ci affascina. Non abbiamo soluzioni già pronte sul modo in cui procedere, ma il nostro interesse sta proprio in questa ricerca fra forma e rappresentabilità che ha per tramite il contenuto scientifico”.

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