Categorie: Spazio

E dopo Marte, Plutone

Ha un “padre” italiano il Sojourner marziano. Giulio Varsi, milanese, 56 anni, ingegnere nuclere, dal 1964 negli Stati Uniti (prima a Berkeley per il Ph.D., poi al Caltech, il Politecnico della California), fino a quattro anni fa era responsabile del programma di automazione spaziale del Jpl, il Jet Propulsion Laboratory, che ha realizzato la missione su Marte per conto della Nasa. Ora pianifica viaggi di esplorazione per Giove, Plutone e oltre. Forse anche per questo guarda con un certo distacco a Marte. Come fosse già cosa del passato.

“No, non avevo paura per l’arrivo a balzelloni su Marte della sonda Pathfinder, con gli airbag ad attutire i colpi”, spiega al telefono l’ingegner Varsi da Washington, dove ora lavora al quartier generale della Nasa. “Ero certo che sia la Pathfinder sia il rover avrebbero resistito all’impatto. Nel 1992 avevamo fatto una quantità di prove su un prototipo del Sojourner, facendolo cadere da varie altezze su un terreno desertico fuori Pasadena, in California, non lontano dal Jpl. Quegli esperimenti avevano consentito di mettere a punto la struttura del lander marziano. E non dimentichiamo che su Marte la gravità è un terzo di quella della Terra. I contraccolpi subìti dai due veicoli non sono stati troppo violenti. Tanto è vero che hanno resistito benissimo”.

Come mai si è scelta questa procedura, stavolta, anziché la tradizionale lenta discesa dall’orbita, come era stato fatto nel ‘76 con i due Viking?

“Da una parte per risparmiare carburante, dal momento che questa missione e tutte quelle che seguiranno su Marte sono realizzate all’insegna della massima efficienza con la minima spesa. E poi per evitare che i retrorazzi potessero alterare la zona di discesa, modificandone la caratteristiche. Per ragioni ambientali, insomma”.

Qual è il pericolo maggiore, ora, per il mini-rover?

“La temperatura, le fortissime escursioni termiche. Su Ares Vallis, dove è scesa la Pathfinder, si va da 100 gradi sotto zero durante la notte a +15 gradi durante il giorno. Sono sbalzi micidiali, per un veicolo non climatizzato. Per questo si è pensato a un ciclo di attività di soli sette giorni. Ma io spero che Sojourner possa ‘vivere’ di più”.

Adesso lei non si occupa più di Marte…

“No, infatti. Stiamo pianificando tra le altre cose una missione di esplorazione su Europa, la luna di Giove che dalle foto della sonda Galileo sembra coperta da un oceano ghiacciato. Un’eccellente condizione per la formazione di molecole organiche. Pensiamo a un orbiter capace di misurare mediante il radar lo spessore del ghiaccio e a un lander per l’atterraggio. Una volta scesa su Europa, la sonda dovrebbe utilizzare un penetrator per forare il ghiaccio e raccogliere campioni in profondità. Quando? Forse nel 2002 o nel 2004. Dipende dai finanziamenti”.

Ma poi guardate addirittura a Plutone, l’unico pianeta che non è ancora stato raggiunto da un veicolo spaziale terrestre…

“Sì, è vero. La missione dovrebbe consistere in un fly-by ravvicinato di due sonde, una per ciascun emisfero. A bordo ci saranno strumenti per l’analisi spettrografica dell’atmosfera. Poi potrebbe esserci anche una missione oltre Plutone, nella Kuiper Belt, quella ‘cintura di Kuiper’ che pare ospiti una gran quantità di comete e altri oggetti primitivi della nebulosa primordiale da cui si è originato il Sistema solare. Ma tutto dipende dal programma per l’esplorazione dei pianeti esterni che verrà deciso dal Congresso”.

Ingegner Varsi, lei ha sempre lavorato su missioni spaziali automatiche. Meglio i robot, secondo lei, degli uomini?

“Ma certo. Per l’esplorazione scientifica i robot possono fare più e meglio degli uomini. E a costo minore. Se poi si vogliono mandare astronauti sugli altri pianeti, questa è una decisione politica. Ma serve solo a fare spettacolo”.

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