E il cosmonauta divenne cavia

John Glenn, il “nonno spaziale” in orbita sullo Shuttle, non è l’unica cavia umana per gli esperimenti sui processi di invecchiamento. Lo dimostra l’incontro avvenuto nei giorni scorsi all’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma. E’ qui, infatti, che è stato presentato il primo studio a livello mondiale sullo stress ossidativo, principale responsabile dei processi di invecchiamento cellulare. A fare da cavia, questa volta, saranno otto cosmonauti russi con lunghe missioni spaziali alle spalle, che nei prossimi mesi saranno al centro di decine di test e analisi su sangue e urine. Partecipano allo studio, sostenuto dall’Organizzazione mondiale della sanità, i ricercatori della Idi farmaceutici, dell’Università di Milano e del centro di preparazione dei cosmonauti russi “Yuri Gagarin” di Mosca.

Lo stress ossidativo è causato da una maggiore presenza, all’interno delle cellule, di agenti ossidanti rispetto agli antiossidanti. Le principali molecole che regolano le normali funzioni vitali del corpo umano (proteine, grassi, carboidrati e acidi nucleici), sono infatti continuamente attaccate da fattori ossidanti: i cosiddetti radicali liberi. Si tratta di frammenti di molecole a vita brevissima, molto reattivi, che mancando di un elettrone, tendono a recuperarlo sottraendolo alle membrane delle cellule circostanti, danneggiandole, oppure prendendo un atomo di ossigeno all’emoglobina dei globuli rossi.

Per questo il processo è chiamato “ossidazione”. Impoveriti di ossigeno, i globuli rossi non riescono più a svolgere correttamente le loro funzioni. Il processo di ossidazione provoca dunque la degenerazione dei tessuti e degli organi, favorendo l’insorgenza di malattie e accelerando il processo di invecchiamento. Quando la produzione dei radicali liberi rientra in un quadro fisiologico, l’organismo è in grado di produrre da solo le sostanze antiossidanti e ristabilire l’equilibrio cellulare. Ma se le condizioni di vita sono estreme, (come quelle in cui operano gli astronauti, ma anche quelle di particolari categorie di lavoratori), prevalgono gli agenti ossidanti, e gli antiossidanti prodotti naturalmente non riescono a svolgere la loro funzione riequilibratrice della cellula.

“Gli astronauti svolgono le loro missioni in condizioni molto particolari: con una fortissima escursione termica, in assenza di gravità e in mancanza di protezione atmosferica dalla radiazione cosmica, e soprattutto in situazioni di tensione psicofisica costante, causata dalla paura di non tornare sulla Terra, dal vivere in spazi stretti, e così via”, spiega Umberto Solimene, direttore del Centro ricerche in bioclimatologia medica dell’Università di Milano. “Sono queste condizioni ad accelerare i processi che causano lo stress ossidativo nelle cellule. Così, le ricerche sugli astronauti aiutano a capire quali sono le migliori terapie farmacologiche e naturali in caso di elevato stress ossidativo. In questo modo possiamo trovare soluzioni per il recupero psicofisico non solo di chi viaggia nello spazio, ma anche di quanti si trovano in situazioni simili dal punto di vista dello stress cellulare”, continua Solimene

In effetti, i risultati di queste ricerche potrebbero avere interessanti ricadute sulla vita di molta gente comune. Oltre ai cosmonauti, infatti, esistono diverse categorie di lavoratori soggette più di altre all’azione die radicali liberi: vigili urbani, radiologi, tecnici delle centrali nucleari, pescatori e chiunque rimanga a lungo esposto a raggi ultravioletti o a forte inquinamento. Non solo. Anche chi attraversa ogni giorno le grandi metropoli in motorino, o i cultori della abbronzatura estiva e della lampada invernale, gli accaniti fumatori e gli amanti dell’alcool rischiano un più rapido invecchiamento delle loro cellule.

Nonostante i progressi sulle conoscenze dei meccanismi di azione degli agenti ossidanti, tuttavia, ancora non è stata messa a punto una cura per combattere efficacemente le singole cause di degenerazione cellulare. A tutt’oggi, infatti, si cerca di rispondere all’azione demolitiva dei radicali fornendo all’organismo quelle sostanze come la vitamina C, il beta-carotene, la vitamina E e il coenzima Q10, in grado di contrastare il fenomeno. Il loro effetto terapeutico è ormai provato, ma la loro azione è però ancora poco mirata.

Gli studi dei ricercatori dell’Idi, che nella loro prima fase dureranno almeno sei mesi, si stanno allora concentrando sull’ubichinolo, un potentissimo antiossidante naturale (una forma ridotta del coenzima Q10), l’unico che le cellule di mammifero siano in grado di sintetizzare. “Le nostre ricerche tendono a ristabilire l’equilibrio cellulare somministrando agli individui i singoli antiossidanti nelle quantità mancanti” spiega Siro Passi, direttore del Centro di invecchiamento cellulare dell’Idi. Una tecnica, questa, assolutamente nuova. L’obiettivo è dunque di individuare in ogni paziente le specifiche carenze di sostanze antiossidanti, e successivamente di reintegrarle nel loro organismo nelle dosi necessarie. Gli studi italiani sui cosmonauti russi dovrebbero fornire proprio questo tassello mancante.

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