E la pioggia se ne va

Suona un altro campanello di allarme per gli effetti umani sull’ambiente e sul clima. Stavolta il monito viene da Bologna, dalla 14° Conferenza internazionale su nubi e precipitazioni che si è tenuta nel capoluogo emiliano dal 19 al 23 luglio scorsi. Il consesso, organizzato dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, insieme all’International association of meteorology and atmospheric sciences e all’International union of geodesy and geophysics, ha richiamato oltre 500 ricercatori provenienti da 39 paesi del mondo. Nel denso programma della settimana, una speciale sessione, sponsorizzata dall’Organizzazione meteorologica mondiale, è stata interamente dedicata agli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle precipitazioni. Le immagini dei satelliti non lasciano dubbi: le nuvole risentono della massiccia immissione di polveri sottili nell’atmosfera. E per tutta risposta producono meno precipitazioni. “Le sorgenti inquinanti, come impianti industriali o grandi agglomerati urbani, ma anche sorgenti non inquinanti, come incendi di biomassa e di vasti appezzamenti di terreno, iniettano nell’aria quantitativi enormi, tonnellate e tonnellate, di piccole particelle di aerosol, della dimensione di qualche micron” spiega Vincenzo Levizzani, primo ricercatore dell’Isac. “Queste particelle non sono inerti. Rimangono in sospensione nell’atmosfera ed entrano nel ciclo di formazione delle nubi, modificandolo”.Le nuvole per formarsi hanno bisogno delle particelle. In un’atmosfera ideale, in cui non ci fosse pulviscolo atmosferico, non ci sarebbero nuvole. Il vapore acqueo usa questi corpuscoli microscopici come dei nuclei, intorno ai quali può condensare. Così si forma una gocciolina d’acqua che, a un certo punto, la forza di gravità fa precipitare al suolo.”L’inquinamento produce un consistente surplus di aerosol nell’aria. Così, a parità di vapore acqueo, aumenta enormemente la disponibilità dei nuclei che fanno da supporto alle goccioline. Se ne formano molte di più, ma sono più piccole, pesano meno e stentano poi a cadere”. Questa la ragione fornita da Sandro Fuzzi, ricercatore all’Isac, del fenomeno della riduzione delle precipitazioni sopra aree molto inquinate o soggette a deforestazione, come l’Amazzonia. Il problema, infatti, riguarda anche la grande foresta pluviale del continente sud-americano, dove nella stagione secca divampano incendi per disboscare terre coltivabili.Le nuvole sono elementi fondamentali nel sistema climatico terrestre perché, riflettendo la radiazione solare, hanno un effetto raffreddante sulla terra, che potrebbe controbilanciare il riscaldamento prodotto dai gas serra di origine antropica. Anidride carbonica in testa, ma anche metano, composti azotati e idrofluorocarburi fanno da schermo alla terra e non favoriscono l’emissione del calore dalla superficie verso l’esterno, contribuendo ad aumentare la temperatura al suolo. Le particelle di aerosol farebbero da scudo, ostacolando il passaggio dei raggi solari. “Il problema è complesso” continua Levizzani. “La verità è che non ci sono modelli meteorologici e climatici in grado di tener conto di questi molteplici aspetti tutti insieme”. In tema di cambiamenti climatici vale il principio di indeterminazione. E di precauzione, perché non è possibile affermare con certezza incontrovertibile un rapporto di causa-effetto tra la mano dell’essere umano e i cambiamenti climatici. Che però i paesi industrializzati emettano gas serra e polveri sottili in gran quantità, o che l’inquinamento sia un problema reale è un dato tutto sommato innegabile. E se gli effetti sull’ambiente, sugli ecosistemi e sul ciclo dell’acqua di questa attività antropica non sono facilmente misurabili, i dati che vengono dalle aree dove vi sono ingenti immissioni di aerosol nell’aria rivelano una depressione o comunque un ritardo delle precipitazioni. E non è poco.

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