Categorie: Vita

E se fosse un gorilla?

L’11 luglio scorso la rivista Nature ha pubblicato con grande enfasi un articolo che prometteva di rivoluzionare l’intera paleontologia umana. Alcuni scienziati della Mission Paléoanthropologique Franco-Tchadienne (Mpft), guidati da Michel Brunet, descrivevano infatti dei reperti fossili straordinari trovati l’anno prima in una località nel deserto del Djurab, Ciad settentrionale: un cranio fossile quasi completo, più alcuni frammenti di mascella e di denti appartenenti a una specie sconosciuta. Secondo gli scopritori – l’articolo era firmato da 40 autori, di 14 istituzioni in 10 Paesi diversi -, il fossile era un mosaico unico di caratteri primitivi che lo distinguevano dai grandi primati e da tutti gli altri ominidi fino ad allora ritrovati. L’”Uomo del Sahel”, vissuto sette milioni di anni fa e chiamato Toumaï, che in lingua Goran significa “speranza di vita”, era quindi, secondo gli autori un Sahelanthropus, il più antico ominide conosciuto. Una valutazione straordinaria: tutti i dati molecolari più aggiornati fissano infatti la separazione tra le specie scimpanzé e Homo a circa cinque milioni di anni fa. Il ritrovamento del più antico antenato degli umani ha avuto un forte impatto sulla stampa non specializzata e ha scombussolato anche il mondo sonnacchioso della paleontologia umana. Tuttavia, lontano dai riflettori e fuori dai congressi, molti ricercatori hanno accolto la notizia con qualche perplessità e la stessa rivista Nature ha pubblicato il 10 ottobre alcune critiche alla scoperta. Galileo ne ha parlato con Emiliano Bruner, del Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università “La Sapienza” di Roma (Bau) e membro dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Che proprio su questo tema terrà un incontro pubblico dal titolo “Evoluzione di primati, fossilizzazione di idee”, al Museo Civico di Zoologia di Roma (giovedì 7 novembre, 18.30).Dottor Bruner, come giudica la scoperta del cosiddetto “Uomo del Sahel”?”Il ritrovamento di questi fossili è un fatto eccezionale e va valutato con molta attenzione. Tuttavia nell’articolo di Nature sono presenti alcuni punti poco chiari. Il mio laboratorio ha mandato alla rivista alcune osservazioni sperimentali ma sono state respinte. Il 10 ottobre però la stessa rivista ha pubblicato le critiche, più generiche e prive di dati sperimentali, di un luminare della paleoantropologia, l’americano Milford H. Wolpoff. Forse Nature può facilmente dir di no all’Università “La Sapienza” mentre non può negare la possibilità di intervento a uno dei più importanti ricercatori nel campo della paleontologia umana”.Ci può riassumere in breve le perplessità sul ritrovamento?”Le obiezioni sono essenzialmente di tre tipi. Primo: nessuna teoria attuale prevede la presenza di ominidi nel Centro Africa. Secondo, la cronologia delineata nell’articolo è solo indiretta e si riferisce semplicemente a reperti simili trovati in un sito analogo che si trova in Kenya. Infine, la morfologia stessa dei reperti ricorda molto l’aspetto fenotipico di un gorilla, specie sicuramente presente in quella zona a quel tempo”.Quindi secondo lei quest’animale potrebbe essere un gorilla?”Ogni giudizio è attualmente prematuro. Certo, a chi lavora sui primati, il Sahelanthropus ricorda subito un gorilla per molti particolari anatomici e morfologici. Si tratta comunque di una scoperta eccezionale perché, fino a oggi, fossili di questo gruppo non sono mai stati trovati. Inoltre, i caratteri diagnostici (come i denti e il toro sopraorbitario) utilizzati nell’articolo sono poco indicativi per la filogenesi. La loro componente ereditaria non è sufficientemente verificabile. Sono fattori sensibili all’ambiente, correlati a variabili quali la dieta o la struttura sociale. Nessun primatologo si affiderebbe esclusivamente a criteri di questo tipo per sviluppare ipotesi filogenetiche. Infine, non si può stabilire se il presunto ominide sia bipede o quadrupede. La verità attuale è che non ci sono motivi conclusivi per stabilire che il Sahelanthropus faccia parte della radiazione adattativa degli ominidi. Secondo le nostre evidenze, che comunicheremo presto alla comunità scientifica, il Sahelanthropus sembra essere piuttosto una forma estinta di gorilla. Una sorta di scimpanzé molto cresciuto”. Ma Nature presenta l’articolo con un titolo molto chiaro: il “nuovo ominide dell’Africa Centrale”…”Mi sembra un titolo gridato e poco scientifico. In genere l’annuncio del ritrovamento di un fossile non prevede un’analisi immediata e l’indicazione certa del tipo di fossile in questione. Il gran numero degli autori dell’articolo (ben 40) è singolare per una semplice presentazione di un ritrovamento. È difficile credere che al momento della scoperta, tutti questi scienziati si trovassero nel deserto del Ciad”. L’eco del ritrovamento sulla stampa non specializzata è stata notevole. Come la valuta? “Quando i ricercatori commettono una serie di imprecisioni di questo tipo e provocano questo genere di pubblicità mediatica, lo scopo non è tanto quello di una divulgazione di qualità quanto quello di una scelta a favore della quantità: non è importante il contenuto, ma quante persone ne vengono a conoscenza. I giornali hanno scritto cose incredibili, che vanno contro tutte le teorie e i dati attuali. Si è parlato di nuovo di “anello mancante” tra lo scimpanzé e l’essere umano, una nozione che la paleontologia ha dimostrato falsa e fuorviante da almeno cinquant’anni. Articoli propagandistici, più che scientifici. Il nome stesso del reperto, Toumaï, speranza di vita, è molto affascinante e forse indica più il nostro desiderio di evocare un animale che sta per diventare uomo piuttosto che la realtà dei fatti. Per certi versi la vicenda dell’”uomo del Sahel” riflette il desiderio della gente di credere a tutti i costi all’idea di un organismo mezzo uomo mezzo animale”.

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