C’è una molecola dietro la capacità di fissare per sempre nella memoria qualcosa che si è appena appreso: il fattore di crescita insulino-simile (o IGF II). Iniettato nel cervello dei ratti (in particolare nell’ippocampo), l’Igf II sembra potenziare notevolmente le capacità mnemoniche degli animali. A patto, però, che sia somministrato durante una precisa e stretta finestra temporale: immediatamente dopo la fase di apprendimento (consolidamento della memoria), e subito dopo aver richiamato un ricordo vecchio al massimo un paio di settimane (riconsolidamento).
Lo afferma, su Nature, uno studio firmato dall’italiana Cristina Alberini, Ph.D presso la Mount Sinai School of Medicine di New York, e finanziato dal National Institute of Mental Health (Nimh).
Che l’Igf-II giocasse un ruolo chiave nella memorizzazione, Alberini e colleghi lo sospettavano da tempo. Avevano già scoperto, infatti, che è particolarmente concentrato proprio nell’ ippocampo, dove sembra servire alla rigenerazione e alla riparazione dei tessuti.
Per capire come lavora la molecola, i ricercatori hanno usato un noto test: quello del ricordo della paura. Hanno seguito il viavai di alcuni ratti all’interno di un percorso dopo che gli animali avevano associato una certa area a una lieve scossa elettrica. Più un ratto evitava accuratamente quella zona, più vivo doveva essere i ricordo del dolore. Gli studiosi si sono allora resi conto che questo tipo di apprendimento aumenta l’espressione naturale di IGF-II nell’ippocampo.
Partendo da questa osservazione, Alberini ha pensato di iniettare il fattore di crescita direttamente in quest’area durante le fasi di consolidamento e di riconsolidamento del ricordo. Risultato? Notevole: la memoria dei ratti è aumentata improvvisamente e l’effetto è durato per alcune settimane. Un esame del cervello degli animali ha anche rivelato che Igf-II ha rafforzato le connessioni tra i neuroni (le sinapsi) e agevolato i meccanismi di base della memoria di lungo termine.
“ E’ in questo modo che Igf-II rafforza la memoria e ritarda il suo naturale declino”, ha sottolineato la neuroscienziata.
Le possibilità da esplorare? “ Potremmo cercare di capire se il fattore di crescita sia in grado di potenziare anche altri tipi di memoria e, magari, essere usato per rimpiazzare un ricordo traumatico”, continua Alberini “ Se così fosse, le ricerca potrebbe fornire indizi per nuovi trattamenti degli stati ansiosi e dei disordini post-traumatici”.
Riferimenti: Wired.it
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