eLife, la rivista che sfida Nature e Science

La sfida è lanciata. La Wellcome Trust, la fondazione dedicata alla salute animale e umana che, dopo la Bill e Melinda Gates Foundation, è il maggiore finanziatore della ricerca medica mondiale con oltre 720 milioni di euro stanziati ogni anno, ha annunciato ufficialmente che nel corso del 2012 darà alla luce eLife, una nuova rivista open access che punta a sfidare i giganti dell’editoria scientifica con l’obiettivo di cambiare le regole del gioco. 

Sono anni ormai che l’organizzazione britannica cerca di disincentivare la pubblicazione da parte dei ricercatori a cui eroga finanziamenti su riviste a pagamento, comprese quelle a più alto impact factor come ScienceNature o il New England Journal of Medicine. Ora però la Wellcome Trust ha deciso di scendere in campo in prima persona, non appoggiando il boicottaggio delle riviste già firmato da oltre novemila ricercatori, bensì fornendo agli scienziati un’alternativa appetibile per diffondere i risultati dei propri studi. Idea che ha anche ottenuto parere positivo dal governo: “Guardiamo con interesse a questa iniziativa”, ha dichiarato il Ministro per l’università e la scienza, David Willetts. “ Ci sono reali benefici nel migliorare l’accesso alla ricerca accademica: disseminazione di conoscenza, incoraggiamento alla collaborazione e al trasferimento tecnologico”. 

Oltre a lanciare la sua rivista free”, spiega al Guardian il direttore di questa nuova iniziativa editoriale, Sir Mark Walport, “la Wellcome Trust adotterà presto una politica più rigida con gli scienziati che finanzia, per assicurare che i risultati delle ricerche siano disponibili entro sei mesi dalla loro prima pubblicazione”. I ricercatori che non renderanno accessibili i risultati in linea con la nuova politica potranno avere difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti

Oggi la maggior parte dei quasi 1,5 milioni di articoli scientifici scritti ogni anno viene pubblicata da riviste che fanno capo a un ridotto numero di case editrici, principalmente ElsevierSpringerWiley. Gli scienziati propongono i propri paper alle riviste, che li inviano agli esperti per la revisione, e poi li pubblicano, facendo pagare ai lettori un prezzo salato sia per i singoli articoli sia per gli abbonamenti. Secondo David Prosser, direttore esecutivo delle Research Libraries UK, le università britanniche spendono ogni anno 200 milioni di sterline (240 milioni di euro) per la sottoscrizione alle versioni online delle varie riviste, pari a circa il 10 per cento dei fondi statali che ricevono. Secondo il Guardian, inoltre, le riviste scientifiche possono raggiungere un margine di guadagno del 35 per cento vendendo l’accesso ai risultati delle ricerche scientifiche, molte delle quali finanziate pubblicamente o da enti benefici. 

Non solo. A garantire l’altissima qualità delle pubblicazioni è il lavoro gratuito degli accademici chiamati a revisionare gli studi: la cosiddetta peer review, processo che porta, per esempio, Nature a rifiutare circa il 90 per cento degli studi che gli vengono sottoposti. “Le riviste beneficiano gratuitamente di una consulenza potenzialmente molto costosa”, prosegue Walport. “Ancora una volta mi chiedo: perché prestiamo il nostro lavoro gratuito se poi il prodotto finale è usufruibile solo a pagamento?”.  

Tuttavia, parte della comunità scientifica teme che nelle riviste open access potrebbe venire meno proprio l’accurato processo di selezione e peer review. Parere non condiviso dalla Fondazione: “Qualità e open access sono concetti indipendenti”, spiega Robert Kiley, della Wellcome Trust. “Ovviamente ci sono riviste open access di pessima qualità, ma ce ne sono anche tra quelle a pagamento”. Del resto la PLoS Library of Science, un gruppo editoriale che pubblica ben sette riviste di alto livello completamente free, è un esempio di grandissima qualità a costo zero per i lettori: “PloS One”, spiega Walport, “è ora il più grande giornale scientifico del mondo, e continua a crescere”. 

Un altro dei problemi sollevati è il costo della pubblicazione, che nelle riviste open access ricade interamente o quasi sull’istituzione che ha compiuto la ricerca. Secondo Danni Kingsley, dell’Australian National University questo costo può raggiungere i 2500 dollari (quasi 2000 euro) per articolo ed è difficilmente recuperabile. Una soluzione a questo problema, proposta da molti sostenitori della politica open access, è che i costi di pubblicazione siano compresi nel finanziamento alla ricerca, come avviene alla Wellcome Trust: se i ricercatori sostenuti economicamente dalla Fondazione pubblicano su una rivista accessibile a tutti, i costi di pubblicazione sono ripagati, anche se per ottenere il contributo è necessario un po’ di tempo. 

Ultimo ma non meno importante è il prestigio di una rivista scientifica. Vedere il proprio articolo su Nature ha un altissimo valore per un ricercatore e per la sua istituzione: la qualità delle pubblicazioni è uno dei criteri valutati da un’università quando assegna le cattedre, e dalle istituzioni che realizzano le classifiche internazionali degli atenei. Tuttavia proprio PLoS è un ottimo esempio di come prestigio e gratuità possano andare di pari passo. E anche eLife, la rivista della Wellcome in arrivo, punta a raggiungere un alto grado di prestigio. Infatti, partner della fondazione in questo progetto sono due istituzioni di altissimo livello: la Max Planck Society in Germania e l’Howard Hughes Medical Institute statunitense: “L’obiettivo è raggiungere il top dell’industria editoriale scientifica e diventare un competitor di alto profilo di Nature e Science”, conclude Walport. 

via wired.it

Credit immagine a PGRsOnline / Flickr 

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