Non più di due mesi fa l’azienda privata statunitense Advanced Cell Technology (Act) di Worcester annunciò al mondo intero di aver gettato le basi per la clonazione umana. E divamparono le polemiche. Ma non da parte degli esperti che accolsero la ricerca con una sostanziale diffidenza: non si poteva, infatti, parlare di clonazione visto che non si era arrivati neanche allo stato di blastocisti, momento dal quale si possono isolare le cellule staminali. Ora la Act ci riprova. Questa volta, sembra, con uno studio più attendibile. Anche perché non è stato pubblicato – come nel caso del primo esperimento – su una rivista pressoché sconosciuta come il Journal of Regenerative Medicine, ma addirittura su Science.
Ecco che cosa sono riusciti a fare i ricercatori: in collaborazione con la Wake Forest University School of Medicine, hanno ottenuto per la prima volta il differenziamento cellulare a partire da cellule staminali embrionali di primati. Nell’articolo gli scienziati spiegano che alle staminali sono arrivati in seguito al cosiddetto fenomeno della partenogenesi. In altre parole hanno attivato una cellula uovo attraverso la sua esposizione ad alcuni agenti chimici e senza l’intervento dello spermatozoo. L’ovocita si è sviluppato fino allo stato di blastocisti (32-64 cellule), i ricercatori hanno isolato le cellule staminali e le hanno messe in coltura. Risultato: gli scienziati hanno ottenuto cellule cardiache e nervose.
“Bisogna spiegare che utilizzando la partenogenesi per riprodurre cellule non si arriverà mai allo stato di embrione”, afferma Giulio Cossu, docente di Istologia ed Embriologia a La Sapienza di Roma e condirettore dell’Istituto di ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano. “In questo modo otterremo un partenogenone, cioè una struttura cellulare che non potrà mai dar vita a un individuo”. Quindi il nuovo metodo è in grado di “aggirare” la controversia etica sull’utilizzo degli embrioni. Le cellule staminali deriverebbero, infatti, da un embrione che non ha possibilità di arrivare a termine.
Ma le prime risposte della Chiesa cattolica non fanno immaginare un “accordo” in questo senso. Richard Doerflinger, portavoce della Conferenza dei vescovi cattolici statunitense, ha dichiarato al New York Times che la Chiesa è favorevole alla protezione di tutti i tipi di embrioni. E che non ha alcuna rilevanza che gli embrioni partenogenetici non siano in grado svilupparsi. D’accordo con il vescovo statunitense è Kevin Fitzgerald, un prete gesuita che insegna alla Georgetown University. Il quale sostiene che questo tipo di embrioni potrebbero essere considerati non umani così come la Mola Idatidea, una malformazione intrauterina che porta all’aborto spontaneo.
Ma le critiche allo studio non arrivano solo dalla sfera cattolica. “La ricerca mi sembra fine a sé stessa, un puro esercizio ginnico”, dice Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Istituto Gregorio Mendel. “Sono d’accordo con l’utilizzo di modelli animali per questo tipo di ricerche. Ma studi precedenti insegnano che cellule ottenute per partenogenesi non danno mai origine a cellule sane”. Non sembra, però, pensarla così José B. Cibelli, ricercatore della Act, che annuncia la sperimentazione su cellule uovo umane. L’azienda statunitense, infatti, ha iniziato a sviluppare una procedura simile che, a suo dire, sta dando risultati incoraggianti.
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